Coltivare la fiducia: come comunicare al meglio le esperienze di amministrazione condivisa

Riproponiamo l’articolo di Lara Esposito per Cantiere Terzo Settore relativo collaborazione tra enti pubblici e Terzo settore 

Dopo il riconoscimento normativo da parte del codice del Terzo settore e il definitivo “via libera” della sentenza 131/2020 della Corte costituzionale che ne ha sdoganato definitivamente l’utilizzo, le esperienze di amministrazione condivisa sono destinate ad avere sempre maggiore spazio e diffusione. Saperle comunicare al meglio è una sfida in termini di credibilità per la costruzione di un rapporto di fiducia con la comunità. Sullo sfondo, il tema della trasparenza che attraversa tutta la riforma del Terzo settore, da interpretare non come una serie di obblighi e adempimenti, ma come una nuova compagna di viaggio nella gestione delle proprie attività.

Un’alleanza tra “pari” per il bene comune

L’amministrazione condivisa è uno degli aspetti più interessanti previsti dalla riforma del Terzo settore che, se correttamente interpretata e attuata, è destinata ad avere a lungo termine effetti sorprendenti. Una portata innovativa che prende slancio dal pieno riconoscimento del ruolo delle organizzazioni del Terzo settore nella società. In questo senso, il codice del Terzo settore ha segnato un passaggio di senso che va oltre i dispositivi previsti dalla normativa. Co-programmazione e co-progettazione, infatti, non fanno altro che accorciare la distanza tra la funzione sociale delle organizzazioni del Terzo settore e quella della pubblica amministrazione. Entrambe agiscono per l’interesse generale: questo è l’orizzonte comune che, con modalità e strumenti differenti, le spinge ad agire e le differenzia dal mercato. Una base fondativa, quindi, soprattutto se si considera che la natura di ente del Terzo settore si basa proprio sulla spinta ad agire per il bene comune. Non a caso, già nella legge delega del 2016, in cui si definiscono le motivazioni e gli obiettivi della riforma avviata l’anno successivo, le istituzioni chiedono alla cittadinanza attiva organizzata di avere un ruolo attivo per il “cambiamento economico, sociale, culturale e istituzionale” del Paese. Una richiesta di alto profilo, certo, ma soprattutto il riconoscimento di una alleanza forte per un obiettivo comune. Ed è da alleati che si siedono insieme intorno a un tavolo per co-programmare e co-progettare risposte adeguate alle esigenze delle comunità.

Co-programmare e co-progettare significa costruire una nuova “politica” in cui le risorse pubbliche vengono gestite in modo partecipato, attivando know how, esperienza, studio, creatività e soprattutto allargando la collaborazione a tutti coloro che possono contribuire alla gestione più efficace dei servizi. Dal welfare all’ambiente, dai servizi socio-sanitari alla cultura, le risposte che possono scaturire da tavoli allargati tra pubblica amministrazione, Terzo settore, imprese e cittadinanza possono avere effetti sorprendenti.

In questo nuovo spazio di collaborazione, infatti, la pubblica amministrazione chiede alle organizzazioni del Terzo settore di costruire reti con tutte le tipologie di stakeholders. E soprattutto di coltivarle.

Il tempo è la chiave dell’amministrazione condivisa, nel bene e nel male. Affidare un servizio tramite appalto forse è un processo veloce e collaudato (al netto di eventuali impugnative, ricorsi, contenziosi, adeguamenti prezzi, etc.), ma se alla necessità di dare risposte diverse alla povertà educativa, all’emarginazione di una certa fascia della popolazione o alla necessità di valorizzare un luogo – giusto per fare qualche esempio – si sceglie la via della co-progettazione, uno degli ingredienti fondamentali è la pazienza. Per percorrere questa strada, infatti, è fondamentale la costanza di lavorare a processi partecipati da più soggetti di natura diversa: un percorso che può sembrare a prima vista più lento ma sicuramente più solido.

Ripensare la trasparenza per trasformarla in un investimento (sicuro) a lungo termine

La trasparenza richiesta dalla riforma del Terzo settore e, in generale, alla pubblica amministrazione nella gestione delle proprie attività, è quanto di più diverso dal freddo adempimento formale. Investire energie per realizzare un bilancio sociale poco chiaro o pubblicare un qualsiasi documento richiesto senza un’adeguata spiegazione e senza favorire l’accesso è quanto di più lontano dal concetto di trasparenza.

Nel codice sono previsti diversi adempimenti, dall’obbligo di redazione del bilancio sociale per i centri di servizio per il volontariato, le imprese sociali e per gli enti che superino ricavi, rendite, proventi o entrate superiori a 1 milione di euro l’anno, alla valutazione di impatto per specifiche attività, dalla relazione di missione per gli enti non commerciali con ricavi superiori a 220mila euro alla pubblicazione dei contributi pubblici previsti dalla legge sulla concorrenza n. 124 del 2017, fino alla raccolta fondi, il 5 per mille, il crowdfunding e lo stesso registro unico nazionale del Terzo settore. La riforma nel suo insieme sancisce con il Terzo settore un vero e proprio patto di alleanza reciproca: più tutele e risorse a fronte di maggiore credibilità e obblighi.

Ci sono due modalità per leggere le prescrizioni previste dalla normativa. Si può rispondere con un mero adempimento formale, per cui impiegare meno energie e risorse possibili, una scelta plausibile considerando la scarsità di tempo e risorse che caratterizza la vita delle organizzazioni e le tante attività da portare avanti. Il rischio, però, è quello di non cogliere l’opportunità offerta dalla riforma i cui effetti potrebbero essere visibili solo nel tempo. Investire in trasparenza, invece, significa investire in comunicazione con strategia e visione, e il tempo in cui viviamo premia soprattutto chi sa comunicare bene.

Questo vale anche e soprattutto per le esperienze di amministrazione condivisa, in cui l’efficacia e la riconoscibilità dei percorsi attivati che possono spaziare e intrecciare ambiti diversi, dallo sport ai nuovi sistemi di welfare, vanno raccontati al meglio. In questo tipo di esperienze, infatti, un progetto per funzionare deve diventare patrimonio collettivo della comunità.

Partire dall’autoconsapevolezza

Per funzionare, il piano di comunicazione di un’esperienza di co-programmazione e co-progettazione deve partire dallo stesso presupposto di una qualsiasi strategia di comunicazione: l’autoconsapevolezza. Prima di scegliere il post da pubblicare su facebook, il taglio da dare a un comunicato stampa o la modalità di organizzazione di un evento bisogna aver chiara la propria identità. Definire mission e vision è il primo step da affrontare, possibilmente in modalità condivisa per far sì che tutti coloro che fanno parte di un’organizzazione – dalla governance ai volontari – abbiamo maturato una consapevolezza comune non solo delle attività che si svolgono, ma soprattutto della motivazione, l’orizzonte comune, gli obiettivi. In questa direzione, vanno analizzati i punti di forza e di debolezza, ponendosi le giuste domande utili a leggere la realtà per quella che è, senza mistificazioni. La presenza di un buon numero di volontari o di donatori, ad esempio, è di sicuro un punto a favore; d’altro canto, la consapevolezza di non averne abbastanza è un ottimo punto di partenza per direzionare energie e risorse in attività di comunicazione (e non solo) che rendano attrattiva l’esperienza volontaria. E ancora, bisogna inquadrare quali sono le risorse a disposizione, per calibrare meglio impegni e obiettivi perché è meglio fare meno ma farlo bene e in modo continuativo. Infine, guardarsi attorno e comprendere la natura e la tenuta della propria rete sociale, accompagnata da un’analisi del contesto che ci aiuta a leggere i bisogni della comunità in cui operiamo.

In questo caso, il ragionamento va allargato all’intero progetto in cui gli attori in campo scelgono di collaborare insieme per costruire un’esperienza nuova, che contiene e supera le identità di ognuno.

Investire in trasparenza per coltivare la fiducia

La sola pubblicazione di un dato non lo rende trasparente se questo non è accessibile, leggibile, fruibile e, perché no, appetibile. Comunicare significa aprire la propria casa e sistemarla al meglio per accogliere gli ospiti, valorizzandola e raccontandola. In questo senso la trasparenza è un investimento per l’ente del Terzo settore solo se diventa un processo comunicativo. Per farlo c’è bisogno di organizzarsi, prendersi del tempo e investire risorse, energie e creatività.

Comunicazione e trasparenza sono un asso nella manica soprattutto per coltivare relazioni di fiducia e accrescere la propria credibilità. Raccontarsi e farsi raccontare significa aprire le proprie porte, dare voce e immagini alle attività che si svolgono, renderle credibili, reali, affidabili. Ed è proprio sulla fiducia che si poggia l’amministrazione condivisa, come specificato da Luciano Gallo nell’approfondimento sul tema “La collaborazione con la Pubblica Amministrazione come banco di prova” pubblicato nel libro di prossima uscita “La trasparenza per gli enti del terzo settore” a cura di Luca Gori e Giulio Sensi (Pisa University Press, Pisa, 2022). Se una certa attività viene progettata e svolta al di fuori del classico affidamento di servizio ma con modalità partecipative, infatti, la comunità e gli stakeholders devono potersi fidare ancora di più di questo processo e di chi lo sta guidando.

Darsi il tempo per costruire una narrazione

La strada della co-progettazione è lunga e spesso poco lineare. Sedersi a un tavolo per pianificare un piano operativo per rispondere a un bisogno implica mettersi in gioco con consapevolezza e una grande capacità di trovare la strada comune che metta insieme tutti. Questo influenza inevitabilmente la strategia comunicativa. Non si tratta di un limite, anzi: il tempo di questi processi, se ben gestito, può essere un elemento di vantaggio. La comunicazione funziona se esce dalla dinamica dello spot ma diventa una modalità continuativa che accompagna le attività. Costruire percorsi nel tempo è un elemento premiante di ogni campagna.

Allargare gli orizzonti e moltiplicare gli strumenti

Raccontare non significa descrivere ma saper valorizzare. C’è un livello di comunicazione che investe le singole attività svolte. Per quanto utile e necessario, non può e non deve essere l’unico. Nella progettazione di un piano di comunicazione di amministrazione condivisa è utile raccontare l’impatto sociale delle proprie azioni, provando a intrecciare i dati – il più possibile attendibili e significativi – con le storie, da quelle degli operatori alle testimonianze degli stessi utenti. Per scegliere i dati utili è importante individuare i giusti indicatori e, allo stesso tempo, saperli aggiornare in base all’andamento delle attività. Per scegliere le storie, invece, serve delicatezza e un approccio “notiziabile”, lontano dalla retorica e dallo stereotipo. Storie uniche quanto universali, quindi, in grado di trasmettere il senso dell’impatto sociale e dare voce ai numeri stessi. Infine, se ben costruite, sono molto utili specifiche campagne di comunicazione, che fidelizzano chi ascolta e contribuiscono a focalizzare i temi su cui si sta lavorando.

Costruire narrazioni il più possibile partecipate

Un grande asso nella manica nelle esperienze di amministrazione condivisa è la pluralità di soggetti coinvolti. Coinvolgere gli stakeholders, dai partner agli utenti, fino alla cittadinanza, nelle strategie di comunicazione ne moltiplica la diffusione e le rende patrimonio collettivo. Curare le relazioni, progettare iniziative condivise e allargare le azioni di comunicazione moltiplica la visibilità e può fare davvero la differenza.

In scadenza al 30 giugno la pubblicazione dei contributi pubblici al non profit

Pubblichiamo l’articolo di Daniele Erler per Cantiere Terzo Settore relativo all’obbligo di pubblicazione dei contenuti pubblici.

Entro il prossimo 30 giugno gli enti non profit che hanno ricevuto contributi pubblici nell’esercizio precedente pari o superiori a 10mila euro dovranno procedere alla loro pubblicazione.

Ecco alcune indicazioni.

I soggetti interessati: associazioni, fondazioni e Onlus

L’obbligo in questione si applica in primo luogo alle associazioni, alle fondazioni e alle Onlus che hanno ricevuto sovvenzioni, sussidi, vantaggi, contributi o aiuti, in denaro o in natura, non aventi carattere generale e privi di natura corrispettiva, retributiva o risarcitoria, pari o superiori a 10.000 euro, da parte:

  • delle pubbliche amministrazioni (art. 1 comma 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165);
  • dei soggetti di cui all’art. 2-bis del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33. Fra essi rientrano anche le società in controllo pubblico, così come le associazioni, le fondazioni ed in generale gli enti di diritto privato con bilancio superiore a 500mila euro di entrate annuali, la cui attività sia stata finanziata in modo maggioritario per almeno due esercizi finanziari consecutivi nell’ultimo triennio da pubbliche amministrazioni e in cui la totalità dei componenti dell’organo d’amministrazione o di indirizzo sia designata da pubbliche amministrazioni.

Sono inoltre soggette all’obbligo di rendicontazione anche le associazioni di protezione ambientale e le associazioni dei consumatori e degli utenti rappresentative a livello nazionale (che in realtà già vi rientravano in quanto appunto “associazioni”), e le cooperative sociali che svolgono attività a favore degli stranieri (decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286).

Pur non menzionandoli nello specifico, è evidente come la normativa richiamata si applichi anche agli enti del Terzo settore: questo nonostante il codice del Terzo settore disponga già per essi alcuni importanti obblighi in tema di trasparenza (per un riepilogo degli stessi si rimanda al focus “La trasparenza per gli enti non profit e del Terzo settore”).

L’obbligo in questione si applica come detto anche alle Onlus: è bene infatti ricordare che la normativa Onlus è stata sì soppressa dal codice del Terzo settore, ma tale abrogazione diventerà effettiva solo a partire dal periodo di imposta successivo all’autorizzazione europea sulla nuova parte fiscale per gli Ets.

I soggetti interessati: le società

La legge 124/2017 distingue i soggetti menzionati nel paragrafo precedente da quelli che esercitano attività d’impresa (art. 2195 del codice civile), disponendo per essi modalità di pubblicazione parzialmente diverse rispetto a quelle previste per associazioni, fondazioni e Onlus, di cui si dirà a breve.

Fra tali soggetti rientrano sicuramente le società di cui al Libro V del codice civile, oltre che le imprese sociali costituite in forma societaria.

Il discorso si fa più problematico per le cooperative sociali, che sono sia “società” che “onlus” (di diritto): la circolare ministeriale n. 2 dell’11 gennaio 2019 stabilisce la prevalenza del profilo legato alla forma giuridica e quindi le cooperative sociali (tranne quelle che svolgono attività a favore degli stranieri) sono tenute ad adempiere all’obbligo di pubblicazione nelle stesse forme previste per le società. Applicando tale ragionamento alle imprese sociali, si ricava che quelle costituite in forma di associazione o fondazione sono chiamate a rispettare le regole di pubblicazione previste per tali forme giuridiche.

Il contenuto dell’obbligo e il termine per la pubblicazione

L’obbligo scatta solo nel momento in cui gli enti menzionati (associazioni, fondazioni e Onlus da un lato, società dall’altro) abbiano ricevuto contributi pubblici per una cifra pari o superiore a 10mila euro: il riferimento è l’esercizio finanziario precedente cioè, per gli enti che hanno l’esercizio sociale coincidente con l’anno solare, il periodo che va dal 1° gennaio al 31 dicembre 2021.

Una fondamentale novità rispetto alla formulazione originaria della disposizione è che non tutte le risorse provenienti dalle pubbliche amministrazioni rientrano nel plafond dei 10mila euro, ma solamente quelle relative a “sovvenzioni, sussidi, vantaggi, contributi o aiuti, in denaro o in natura, non aventi carattere generale e privi di natura corrispettiva, retributiva o risarcitoria”.

Ciò significa che eventuali apporti economici di natura corrispettiva (commerciale) con gli enti pubblici non rientrano nel computo dei 10.000 euro, così come quelli dovuti dalla pubblica amministrazione a titolo di risarcimento; vi rientrano invece i contributi concessi dall’ente pubblico a titolo di liberalità oppure dietro presentazione di uno specifico progetto da parte dell’associazione.

I contributi possono essere non solo in denaro ma anche “in natura”. Si intendono quindi ricomprese anche le risorse strumentali, quali ad esempio un bene mobile o immobile concesso in comodato dalla pubblica amministrazione: in tal caso si dovrà chiedere alla stessa di comunicare il valore del bene, il quale dovrà essere indicato nel rendiconto. Qualora non fosse possibile individuare una cifra precisa, è consigliabile fare riferimento a quello che è il valore di un bene simile o analogo sul mercato.

Alcune specifiche attribuzioni economiche: 5 per mille e contributi a fondo perduto

Indicazioni specifiche sono previste per le somme ricevute a titolo di 5 per mille, le quali non sono da considerare nei contributi pubblici disciplinati dalla legge 124 del 2017 e non vanno quindi conteggiate nel “plafond” dei 10mila euro (circolare ministeriale n. 6 del 25 giugno 2021).

Il Ministero ha di fatto superato quanto in precedenza detto con la circolare n. 2 dell’11 gennaio 2019, e lo ha fatto sulla base di un mutato quadro normativo disposto per effetto del Decreto “Crescita”. Il nuovo testo esclude dalla rendicontazione i contributi che hanno “carattere generale”: secondo la circolare ministeriale, “per carattere generale si devono intendere i vantaggi ricevuti dal beneficiario sulla base di un regime generale, in virtù del quale il contributo viene erogato a tutti i soggetti che soddisfano determinate condizioni”. Da una tale definizione è escluso il 5 per mille, le cui somme sono peraltro già soggette a specifici obblighi di pubblicità secondo quanto disposto dal dpcm 23 luglio 2020 (per un maggiore approfondimento sulle nuove regole del 5 per mille, si rimanda al Vademecum sul tema).

Rimangono invece dei dubbi in relazione ai contributi a fondo perduto erogati nel corso del 2021 agli enti non profit per permettere loro di far fronte alla perdurante emergenza pandemica.

Sulla base di quanto detto dal Ministero, sembrerebbe potersi affermare che tali contributi siano di “carattere generale” per il semplice fatto che potevano essere richiesti e ricevuti da tutti i soggetti in possesso dei requisiti previsti dalle disposizioni legislative di riferimento.

Mancando però sul punto, a differenza di quanto è avvenuto per il 5 per mille, una conferma istituzionale ad una simile interpretazione, il consiglio, in via prudenziale, è quello di conteggiare comunque tali contributi nel computo dei 10mila euro.

Ulteriori precisazioni sul limite dei 10mila euro

Ai fini della pubblicazione occorre tener conto dei contributi “effettivamente erogati”: ciò significa che vanno conteggiate solo le somme che l’ente ha effettivamente incassato nel corso dell’esercizio finanziario precedente e non quelle che sono state solamente stanziate dall’ente pubblico ma non ancora incassate dall’organizzazione.

Il limite dei 10mila euro deve essere inteso in senso cumulativo, riferendosi al totale degli apporti pubblici ricevuti e non alla singola erogazione: esemplificando, se l’ente ha ricevuto durante l’anno contributi su due distinte progettualità da 9mila euro ciascuna (da due differenti enti pubblici), il limite dei 10mila euro è superato e scatta quindi l’obbligo di pubblicazione di tali somme.

Le informazioni da pubblicare

Le informazioni devono essere pubblicate in modo schematico e comprensibile per il pubblico, individuando come necessarie le seguenti voci:

  1. denominazione e codice fiscale del soggetto ricevente (l’associazione);
  2. denominazione del soggetto erogante (la pubblica amministrazione);
  3. somma incassata (per ogni singolo rapporto giuridico);
  4. data di incasso;
  5. causale (cioè la descrizione relativa al motivo per cui tali somme sono state erogate: ad esempio, come “liberalità” oppure come “contributo in relazione ad un progetto specifico presentato dall’ente”).

Un fac-simile di rendiconto dei contributi pubblici può essere scaricato qui.

Le cooperative sociali che svolgono attività a favore degli stranieri (decreto legislativo n. 286 del 25 luglio 1998) devono inoltre pubblicare trimestralmente nei propri siti internet o portali digitali l’elenco dei soggetti a cui sono versate somme per lo svolgimento di servizi finalizzati ad attività di integrazione, assistenza e protezione sociale: peraltro sulla ragionevolezza, e quindi sulla costituzionalità, di una simile previsione, si potrebbero avanzare diversi dubbi.

Le modalità e i termini di pubblicazione

Le associazioni, le fondazioni e le Onlus (oltre alle cooperative sociali che svolgono attività a favore degli stranieridevono pubblicare, entro il 30 giugno 2022, i contributi ricevuti sul proprio sito internet oppure su “analogo portale digitale”. Le organizzazioni che non hanno il sito internet possono utilizzare la pagina Facebook dell’ente. Qualora l’organizzazione non avesse nemmeno la pagina Facebook, l’obbligo può comunque essere adempiuto pubblicando i contributi sul sito internet della rete associativa alla quale l’ente aderisce.

Le società (comprese le cooperative sociali e le imprese sociali costituite in forma societaria) sono invece tenute a pubblicare le stesse informazioni nella nota integrativa del bilancio di esercizio e dell’eventuale bilancio consolidato. Il termine è quello ordinario previsto per l’approvazione del bilancio. I soggetti che redigono il bilancio in forma abbreviata e quelli comunque non tenuti alla redazione della nota integrativa assolvono all’obbligo pubblicando le informazioni, entro il 30 giugno 2022, sul proprio sito internet, secondo modalità liberamente accessibili al pubblico o, in mancanza, sui portali digitali delle associazioni di categoria di appartenenza.

Nonostante la normativa non stabilisca nulla riguardo a quanto debbano essere mantenuti sul sito i diversi rendiconti, si consiglia di lasciare pubblicati anche i rendiconti precedenti, posizionandoli all’interno di una sezione specifica ed in evidenza.

Le sanzioni previste

Il controllo sull’adempimento dell’obbligo di pubblicazione dei contributi pubblici è in capo ai soggetti erogatori oppure all’amministrazione vigilante o competente per materia.

Come conseguenza dell’inosservanza dell’obbligo di pubblicazione è prevista, sia per associazioni/fondazioni/Onlus che per le società, in prima battuta una sanzione economica pari all’1% degli importi ricevuti, con un importo minimo di 2mila euro, oltre alla sanzione accessoria dell’obbligo di pubblicazione. Se da tale contestazione passano 90 giorni e l’organizzazione non provvede alla pubblicazione e al pagamento della sanzione, si avrà l’ulteriore sanzione della restituzione integrale delle somme ricevute.

Le coordinate normative

La normativa di riferimento è rappresentata dalla legge n. 124 del 4 agosto 2017 (commi da 125 a 129), modificata nella formulazione attuale dal cosiddetto “Decreto Crescita” (decreto legge 30 aprile 2019, n. 34), che ha disposto in modo permanente alcuni obblighi di trasparenza riguardanti i contributi pubblici ricevuti (anche) dagli enti non profit.

Importanti chiarimenti sul tema sono poi stati forniti dalle circolari del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, n. 2 dell’11 gennaio 2019 e n. 6 del 25 giugno 2021nonostante tali documenti si riferiscano in particolare agli enti del Terzo settore (Ets), le indicazioni in essi contenute possono ragionevolmente estendersi anche agli altri soggetti tenuti al rispetto delle disposizioni menzionate.

Volontariato, arriva la carica dei giovani che cambiano il mondo

Basta avere tra i 18 e i 30 anni, un’esperienza forte di partecipazione civica all’attivo e candidarsi online per essere tra i 500 protagonisti di “Io dono così – Giovani che cambiano il mondo” la manifestazione in programma a Bergamo il prossimo 8 e 9 ottobre e che radunerà ragazze e ragazzi da tutta Italia per condividere e raccontare le loro storie di impegno, comporre una sorta di “catalogo delle esperienze di dono” e scrivere dieci lettere all’Europa.

L’iniziativa è una delle più importanti dell’anno di Bergamo Capitale Italiana del Volontariato, il riconoscimento che CSVnet, l’associazione nazionale dei Centri di servizio per il volontariato, ha assegnato con il patrocinio di Anci alla città lombarda per il grande impegno dei volontari nel corso della pandemia.

Obiettivo della manifestazione, promossa da CSVnet, Csv Bergamo e i numerosi partner della Capitale Italiana del volontariato, è quello di dare voce alle tante esperienze di dono e volontariato che i giovani realizzano in tutta Italia contribuendo a cambiare le realtà in cui abitano. Non a caso l’iniziativa rientra nel calendario di proposte che l’Istituto Italiano della Donazione sta allestendo per il Giorno del Dono del 4 ottobre.

Sono dieci sono i temi su cui si confronteranno: ambiente e vita sulla terra, giustizia e legalità, parità e identità di genere, pace e geopolitica, salute e benessere, investire sul territorio, cultura, cittadinanza e partecipazione, scelte e opportunità, esperienza del dono.

I giovani avranno l’opportunità di trasformare ciò che avranno raccontato nella loro scheda d’iscrizione in mini – sceneggiature da 2-3 minuti l’una che saranno la base dalla quale i partecipanti realizzeranno selfie-video per raccontare la propria storia di volontariato. I video saranno caricati su una playlist di YouTube dedicata. Ma non è finita qui: ad ottobre Bergamo si trasformerà in un grande teatro dove i/le giovani daranno voce al movimento delle “cose che capitano”, al futuro che già stanno costruendo insieme attraverso momenti collettivi fatti di incontri, dialoghi, laboratori, convegni, prodotti artistico-culturali realizzati in forma partecipativa. Previsto anche un convegno finale aperto nel corso del quale i giovani presenteranno le 10 lettere all’Europa.

Per candidarsi è necessario compilare la form online entro il 30 giugno e i costi di vitto, alloggio e viaggio di ognuno saranno sostenuti dall’organizzazione di Bergamo Capitale.

“Music for the Forest”: appello ai musicisti di tutto il mondo a partecipare alla Giornata mondiale delle foreste pluviali 2022

Rainforest Partnership, in collaborazione con JM International, invita a celebrare le nostre foreste il 22 giugno, partecipando alla Giornata mondiale delle foreste pluviali 2022.

“Music for the Forest” sarà una celebrazione musicale online che riunirà artisti di tutto il mondo per mostrare la bellezza, l’importanza, le minacce e le sfide delle foreste attraverso la potenza di brani musicali originali.

Inviando la vostra musica:
– Sarete inseriti nella nostra Playlist/Evento per la Giornata Mondiale della Foresta Pluviale (WRD), che sarà proiettata durante la conferenza WRD e durante gli eventi celebrativi della WRD in tutto il mondo!
– Le canzoni selezionate avranno la possibilità di essere inserite in futuri eventi e contenuti audiovisivi della Rainforest Partnership, nonché in programmi partner che faranno arrivare il vostro messaggio a un pubblico più vasto.
– Un fortunato artista o gruppo riceverà il JMI Green Note, un premio di 1.000 euro per giovani artisti (sotto i 30 anni) che hanno un impatto sociale e artistico.
– Contribuirete a portare avanti un movimento sociale e ambientale di creazione di musica per la conservazione e il ripristino della nostra natura.

Chi può partecipare?
Music for the Forest è aperto a musicisti professionisti e dilettanti di tutto il mondo. Sono benvenute le proposte di musicisti dai 15 anni in su di tutte le formazioni. I contributi di generi diversi sono ugualmente apprezzati: soul o cantautorato, highlife o hip-hop, folk, jazz, rock o tango, musica classica di ogni tradizione e ogni altro tipo di musica!

I musicisti sono invitati a presentare una canzone ispirata alla Terra, sotto forma di videoclip o di registrazione audio, insieme a una trascrizione del testo. La canzone può essere in qualsiasi lingua, ma i lavori presentati in lingue diverse dall’inglese o dallo spagnolo devono essere accompagnati da una trascrizione in lingua originale e da una traduzione in inglese.

Per partecipare c’è tempo fino al prossimo 10 giugno, scopri come…clicca qui

CUSTODI DI BELLEZZA PER UNA CAMPANIA SOSTENIBILE. Al via il corso di formazione

CSV Napoli apre le iscrizioni alla seconda edizione del corso di formazione sul volontariato per la tutela ambientale dal titolo “CUSTODI DI BELLEZZA PER UNA CAMPANIA SOSTENIBILE“.

L’iniziativa, rivolta ai volontari e agli aspiranti volontari della città metropolitana di Napoli, vuole approfondire i temi della cura e del rispetto del territorio e del patrimonio ambientale, in una visione di economia circolare e civile, con l’obiettivo generale di infondere conoscenze e competenze diffuse promuovendo stili di vita sostenibili per una giustizia ambientale e sociale.

Il corso partirà venerdì 9 settembre e la partecipazione è gratuita. Per iscriversi è necessario compilare l’apposito form online entro e non oltre il giorno 1 settembre.  L’iscrizione prevede l’accesso nell’ area riservata del sito csvnapoli.it, l’eventuale creazione della propria anagrafica ed il collegamento ad una organizzazione di Terzo Settore anch’essa registrata in anagrafica.

Per maggiori informazioni scarica la locandina

Incontro informativo e presentazione della Polizza Unica del Volontariato

Il Codice del Terzo settore (art. 18, c.1) ha previsto l’obbligo per gli ETS che si avvalgono di volontari di assicurarli contro gli infortuni e le malattie connessi allo svolgimento dell’attività di volontariato e per la responsabilità civile per i danni cagionati a terzi dall’esercizio dell’attività stessa. Mentre con la legge 266/91 l’obbligo assicurativo era rivolto alle sole organizzazioni di volontariato, oggi tale adempimento, ulteriormente dettagliato con il decreto ministeriale del 6 ottobre 2021, è esteso a tutti gli ETS che si avvalgano dell’azione di volontari, i quali devono essere inseriti in un apposito registro (art. 17, c. 1).

CSV Napoli promuove, pertanto, un incontro informativo sui nuovi obblighi assicurativi previsti dalla riforma del Terzo settore nell’ambito del quale verrà presentata anche la Polizza Unica del Volontariato, ad oggi la migliore offerta assicurativa privata al Terzo settore sul mercato, che permette agli aderenti di partecipare alla divisione degli utili in proporzione ai premi assicurativi versati.

L’appuntamento è per lunedì 6 giugno alle ore 16.00 presso la sede centrale di CSV Napoli al Centro Direzionale, isola E1 – primo piano – interno 2.

Al termine dell’ incontro, si procederà alla distribuzione degli assegni per ogni organizzazione di volontariato assicurata nel triennio precedente.

Interverranno:
Nicola Caprio – presidente CSV Napoli
Giovanna De Rosa – direttore CSV Napoli
Gaetano Cavarretta – fondatore Cavarretta Assicurazioni Srl

Per partecipare è necessario iscriversi attraverso l’apposito form disponibile nell’area riservata del sito csvnapoli.it

Scarica la locandina