Amianto, l’allarme infinito: in Campania 3 milioni di metri quadrati, lo smaltimento rimane il tallone d’Achille

NAPOLI – A ventisei anni dalla Legge 257/92 che ha messo al bando l’amianto, in Italia questa fibra killer continua ad essere ancora molto diffusa e a minacciare la salute dei cittadini e l’ambiente. A gravare sulle spalle del Paese, ancora sotto scacco dell’amianto, anche i ritardi legati agli obblighi di legge, e in particolare ai piani regionali amianto (PRA) – che dovevano essere pubblicati entro 180 giorni dall’entrata in vigore della legge e che mancano ancora in alcune Regioni – ma anche alle attività di censimento e mappatura, alle bonifiche dei siti contaminati, che procedono a rilento, e alle campagne di informazione e sensibilizzazione.

In Campania sono 4000 le strutture, dove è presente amianto, censite al 2018, per un totale di circa 3 milioni di metri quadrati di coperture in cemento amianto. Di queste 4000 strutture 3 sono siti industriali (non erano presenti all’indagine del 2015); 85 sono edifici pubblici (non presenti indagine 2015), 955 sono edifici privati (non presenti nell’indagine del 2015); 3.043 le coperture in cemento amianto (stesso numero rispetto al 2015).

È questa la fotografia scattata dal dossier “Liberi dell’amianto? I ritardi dei Piani regionali, delle bonifiche e delle alternative alle discariche”, realizzato da Legambiente a tre anni dall’ultimo report (2015) e presentato in vista della giornata mondiale delle vittime dell’amianto che si celebrerà il 28 aprile.

Di fronte a questa situazione, le procedure di bonifica e rimozione dall’amianto nel nostro Paese sono ancora in forte ritardo: in Campania le uniche informazioni riguardano 3 edifici pubblici bonificati e 82 non ancora bonificati; per le altre voci i dati non sono disponibili. La regione Campania ha approvato il piano regionale amianto, previsto dalla legge 257/92, e ha completato le attività di censimento e mappatura. Tallone d’Achille resta lo smaltimento dell’amianto: in Campania mancano impianti specifici per l’amianto, e non sono neanche previsti dal piano regionale sui rifiuti.

“Con la presentazione del Dossier – commenta Mariateresa Imparato, presidente di Legambiente Campania – vogliamo ribadire l’urgenza e la necessità per la nostra regione di agire attraverso una concreta azione di risanamento e bonifica del territorio, che passa attraverso la rimozione dell’amianto dai numerosi siti industriali, edifici pubblici e privati che ci circondano quotidianamente. La mancata presenza di discariche presenti nella Regione incide sia sui costi di smaltimento che sui tempi di rimozione, senza tralasciare la diffusa pratica dell’abbandono incontrollato dei rifiuti. Non è più sostenibile l’esportazione all’estero dell’amianto rimosso nel nostro Paese, per questo è importante provvedere ad implementare l’impiantistica. Infine occorre ripristinare e rendere stabile e duraturo il sistema degli incentivi per la sostituzione eternit/fotovoltaico, visti gli importanti risultati ottenuti in passato è assurdo che questo strumento sia stato rimosso. Si tratta di uno strumento molto efficace che in passato ha portato, ad esempio, alla bonifica di 100.000 metri quadri di coperture e oltre 11 MWp di impianti fotovoltaici installati e connessi alla rete in tutta Italia. Un intervento di questo tipo porterebbe un doppio vantaggio, sia per la salute delle persone sia per la produzione di energia pulita”.

Il quadro complessivo che emerge è abbastanza preoccupante, anche a livello sanitario. L’associazione ricorda che stando agli ultimi dati diffusi dall’INAIL, in Italia sono 21.463 i casi di mesotelioma maligno tra il 1993 e il 2012, di cui il 93% dei casi a carico della pleura e il 6,5% (1.392 casi) peritoneali, e oltre 6mila morti all’anno. A livello regionale i territori più colpiti sono Lombardia (4.215 casi rilevati), Piemonte (3.560), Liguria (2.314), Emilia Romagna (2.016), Veneto (1.743), Toscana (1.311), Sicilia (1.141), Campania (1.139).

Il dossier completo è disponibile sul sito www.legambiente.campania.it

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Fidas, congresso nazionale nella regione dei donatori record

NAPOLI – La Campania regione virtuosa. In tutta Italia infatti risulta essere la regione con il 90% di partecipazione di donatori di sangue periodici. Questi i dati emersi dalla conferenza stampa di presentazione del 57° Congresso Nazionale della Federazione Italiana Associazioni Donatori di Sangue (FIDAS) che si terrà a Napoli dal 27 al 29 aprile, 37° giornata del Donatore. Tre giornate di riflessione sul sistema sangue, ma anche di sensibilizzazione e promozione dei valori dell’associazionismo del dono. “La donazione di sangue è un’azione quotidiana salva vita. E’ necessario però investire sui giovani che partecipano poco alla vita del territorio e sono meno attenti alle necessità trasfusionali” ha sottolineato Francesco Vernetti, consigliere comunale di Napoli. Sebbene in Campania sia presente un alto indice di cittadini che si dedicano al volontariato, come ricorda Sara Cozzolino del CSV di Napoli, i dati registrati nel 2017 rispetto al 2016 risultano essere decisamente sconfortanti. Gennaro Carotenuto, presidente FIDAS Campania, riporta qualche numero: “Delle cinque associazioni federate in Campania, quelle di Ischia e Caserta sono in standby ed in tutta la regione si registrano il 50% di donazioni in meno. Per quanto riguarda invece le donazioni dei giovani la percentuale è del 12% in meno rispetto allo scorso anno”.

Al congresso nazionale prenderanno parte circa 200 delegati provenienti da tutta Italia per mettere a punto una strategia di intervento e confrontarsi sui temi del sistema sangue. “Occorre sensibilizzare i giovani già in età scolastica a questi temi con campagne ad hoc. Senza di loro le associazioni finirebbero” dichiara Ciro Caserta, presidente FIDAS Atan. Sul ruolo delle associazioni interviene Aldo Ozino Caligaris, Presidente nazionale FIDAS: “Il 2018 segna una tappa importante perché ricorrono 40 anni dall’istituzione del Sistema sanitario Nazionale avvenuta con l’approvazione della legge 833. Purtroppo non sono mancati nell’ultimo anno diversi attacchi mediatici relativi alla gratuità, alla legalità e alla competenza del volontariato del dono del sangue con ripercussioni addirittura sulla tenuta dell’autosufficienza trasfusionale nazionale. E le deboli giustificazioni e le inconsistenti strategie associative di replica non hanno certo recuperato a livello di opinione pubblica la credibilità così duramente intaccata. Per questo è fondamentale presentarsi come testimoni autentici e trasparenti del valore del dono”. FIDAS e l’Associazione Donatori Volontari della Polizia di Stato firmeranno inoltre un protocollo d’intesa per mettere insieme le energie da direzionare nel sistema sangue. Sono stati annunciati, inoltre, i vincitori dell’VIII edizione del Premio giornalistico “FIDAS-Isabella Sturvi” riservato ai temi del volontariato e della donazione del sangue. Ad aggiudicarsi il riconoscimento per la sezione nazionale Lidia Scognamiglio della redazione di Medicina 33 di Rai 2; per la sezione locale Lorenzo Boratto ed Erica Asselle della redazione cuneese de La Stampa. Il Consiglio direttivo nazionale, inoltre, ha voluto attribuire un premio speciale a Gandolfo Maria Pepe della redazione nissena de La Sicilia.

di Roberta De Maddi

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Aumentano le aggressioni ai danni degli assistenti sociali: «Si registrano sempre nuovi casi, ormai è un vero e proprio bollettino di guerra»

ROMA- L’ultimo caso pochi giorni fa, ad Andria, in Puglia, dove l’ex presidente dell’Ordine regionale della Puglia e attuale Consigliere nazionale, Giuseppe De Robertis, assistente sociale al servizio tutela minori di quel Comune, è stato raggiunto da benzina scagliata da una bottiglia da una donna. Fortunatamente il pronto intervento della Polizia locale ha impedito che la donna usasse l’accendino che teneva nella borsa evitando così una tragedia. Le aggressioni ad assistenti sociali sono ormai quotidiane: in alcuni casi si è sfiorata la tragedia come nel caso della collega di Genova aggredita con un machete o quella di Prato picchiata selvaggiamente dalla madre di un minore che la riteneva responsabile dell’allontanamento della figlia avvenuto pochi prima; o, ancora, quella di Pavia finita all’ospedale per i pugni e calci ricevuti da un uomo sfrattato. Aggrediti, stalkerizzati, minacciati: un vero e proprio bollettino di guerra quello a cui sono sottoposti gli assistenti sociali italiani.

E i numeri mostrano che questo fenomeno, che sta raggiungendo il livello di una vera e propria emergenza, è diretta conseguenza dello stato di crescente sofferenza in cui si trova oggi il sistema dei Servizi sociali: su questi servizi, infatti, si scarica la sfiducia e la rabbia dei cittadini nei confronti delle istituzioni. Sempre più spesso gli assistenti sociali si trovano a lavorare in condizioni difficoltose, senza i necessari strumenti, senza le necessarie tutele, lasciati soli a fronteggiare la dirompente complessità che riguarda le persone che si rivolgono ai Servizi sociali, letteralmente al limite dell’eroismo. Non marginale responsabilità va ascritta ad una narrazione della professione di assistente sociale e degli interventi che competono a questa figura, frutto di semplificazione e superficialità se non addirittura di disprezzo e che ottiene il risultato di minare alla radice il rapporto di fiducia dei cittadini. I recenti fatti di cronaca rendono dunque non più eludibile la necessità di attivare nuovi sistemi organizzativi finalizzati all’aumento del livello di sicurezza nei luoghi di lavoro, non disgiunti da strategie metodologiche per gestire meglio le criticità con investimenti in specifiche risorse professionali dedicate proprio alla sicurezza e nella formazione anche continua degli stessi assistenti sociali per gestire al meglio le eventuali emergenze.

I NUMERI-  Una recentissima ricerca promossa dal Consiglio nazionale degli Assistenti Sociali e dalla Fondazione Nazionale Assistenti Sociali – di cui sono stati resi noti i dati più rilevanti – ha coinvolto sul tema sicurezza e aggressioni quasi 20mila degli oltre 42mila assistenti sociali italiani. Ebbene, nel corso della propria esperienza professionale solo poco più di un assistente sociale su dieci (11,8%) non ha mai ricevuto minacce, intimidazioni o aggressioni verbali. Tre professionisti su venti (il 15,4%) hanno subito una qualche forma di aggressione fisica; l’88,2% è stato, dunque, oggetto di violenza verbale, mentre il 61% ha assistito ad episodi di violenza verbale contro i colleghi. Ed ancora: l’11,2% ha subito danni a beni o proprietà addebitabili all’esercizio della professione; il 35,8% ha temuto per la propria incolumità o quella di un familiare a causa del lavoro. Rilevante è che nel solo terzo trimestre del 2017 – e quindi in un arco di tempo relativamente breve – oltre mille tra i partecipanti alla ricerca abbiano subito forme di violenza fisiche che hanno richiesto un intervento medico importante. Dato, questo, preoccupante – considerate le conseguenze in termini di danni alla salute fisica e psicologica dei professionisti coinvolti – anche per la percezione da parte degli assistenti sociali di una sempre maggiore incidenza del fenomeno della violenza durante lo svolgimento del proprio lavoro. Un quarto del campione (25,4%) pensa che la violenza fisica contro gli assistenti sociali sia aumentata negli ultimi cinque anni; il 61% degli intervistati ritiene che lo sia quella verbale, il 47,1% ritiene che episodi che comportano danni o minacce di danni a beni e proprietà sia aumentata nello stesso arco di tempo. Emerge, poi, che i settori nettamente più a rischio sono i servizi a tutela dei minori e i servizi a sostegno di adulti in difficoltà. Circa un quarto del campione (24,5%) svolge la professione presso servizi a sostegno e tutela di bambini e famiglie; un quarto del campione (25,5%) si dedica a persone che hanno necessità di sostegno legate all’età anziana (14,1%) o a condizioni di disabilità (11,4%); il 9,3% degli intervistati lavora in servizi per adulti in difficoltà, il 5,9% si occupa di progetti sociali nell’ambito del penale o del penale minorile; 18,2% in servizi integrati socio-sanitari Solo il 3,6% è dedicato a servizi a sostegno della popolazione immigrata. Non va, poi, sottovalutato il fatto che solo una parte delle aggressioni fisiche subite vengono segnalate alle autorità di pubblica sicurezza o al proprio ente, rispettivamente nel 10,6% e 23,3% dei casi. Presumibilmente in ragione di un certo grado di sfiducia diffuso tra i professionisti. Il 49% dichiara che a seguito di episodi di violenza verbale l’ente di appartenenza non ha preso alcuna iniziativa concreta per aiutarli e sostenerli.

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Tartaruga azzannatrice ritorvata in villa comunale. Intervengono i carabinieri

NAPOLI- L’hanno ritrovata nella villa comunale di Pomigliano d’Arco. I Carabinieri Forestali del CITES hanno rinvenuto una tartaruga azzannatrice nella spazio verde del comune vesuviano; l’esemplare è il secondo ritrovato nel giro di pochi giorni, sempre in villa comunale. I Carabinieri Forestali del CITES (Nucleo per la tutela delle specie di flora e fauna selvatiche in via d’estinzione) sono intervenuti a seguito di segnalazione del responsabile alla gestione della villa Comunale di Pomigliano d’Arco rinvenendo un esemplare di Chelydra Serpentina la cosiddetta “tartaruga azzannatrice” che qualcuno aveva lasciato lì.  L’animale è incluso nell’elenco allegato a un dm del 1996 ove vengono annoverati gli esemplari considerati pericolosi per la pubblica incolumità dei quali è vietata la detenzione. La Chelydra serpertina predilige le acque stagnanti o i fiumi a lento corso, appartiene ad una specie originaria del nord america e fuori dal proprio habitat manifesta aggressività anche nei confronti dell’uomo (i suoi morsi possono staccare le dita a una persona adulta). Anche questo esemplare è stato in un primo momento portato in un poliambulatorio veterinario del luogo e successivamente trasferito allo zoo di Napoli. Continuano le indagini per identificare chi deteneva illegalmente e ha abbandonato le 2 tartarughe.

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Raccolta fondi per l’acquisto di una culla termoregolata per i neonati prematuri

MILANO- 45580 è il numero solidale che si può comporre dal proprio cellulare dal 1° al 28 aprile per aiutare l’associazione OBM -Ospedale dei Bambini Milano Buzzi Onlus ad acquistare una culla termoregolata di ultima generazione, destinata ad accogliere i piccoli neonati prematuri, che pesano meno di un chilo, durante le prime settimane di cura e di sopravvivenza. 40.000 è il numero dei nati pretermine ogni anno in Italia, cioè venuti alla luce tra la 22ª e la 37ª settimana, che costituiscono il 10% di tutti in nati vivi in Italia.

A Milano, all’ospedale dei Bambini Vittore Buzzi – centro di riferimento da oltre un secolo per l’assistenza specialistica in campo materno infantile – ogni anno vengono ricoverati 500 neonati prematuri nel reparto di Terapia Intensiva e Patologia Neonatale, dove sono disponibili attualmente 24 postazioni in cui i piccolissimi trascorrono le prime settimane, spesso mesi, di vita. Per questi bambini speciali, infatti, sono necessarie cure speciali. Ed è OBM Onlus che, ogni giorno a fianco del personale medico dell’ospedale, supporta i piccoli insieme alle loro famiglie, integrandoli in un ambiente fatto su misura per loro, con strumentazioni e attenzioni specifiche, per poter affrontare la cura il più serenamente possibile.

È questa mission che spinge OBM Onlus a lanciare la campagna “Accendi gli occhi di un bambino” – con sms solidale al 45580 nel periodo 1-28 aprile – con l’obiettivo preciso di dotare l’ospedale di una speciale culla incubatrice termoregolata di ultima generazione, capace di ricreare – per quanto possibile – la situazione in cui il piccolo si trova nel grembo materno.

“La culla permette una termoregolazione ideale per il neonato gravemente prematuro e sottopeso in tutte le sue fasi di crescita”, commenta il pediatra Gianluca Lista, direttore dei reparti di Neonatologia, Patologia e Terapia Intensiva Neonatale dell’Ospedale Buzzi. “Abbinato alla culla c’è inoltre un sistema di monitoraggio multiparametrico centralizzato che consente il costante controllo dei parametri vitali del neonato”. Un reparto dotato di tale strumentazione innovativa ha la capacità di favorire sia le operazioni del personale medico sia la vicinanza dei genitori che, senza rischi per il piccolo, hanno la possibilità di stargli vicino e accarezzarlo. “Oltre all’acquisto della culla, abbiamo organizzato in parallelo un’attività di marsupioterapia e di sostegno alle famiglie”, spiega Antonella Conti, responsabile di OBM Onlus. “Il nostro obiettivo è infatti quello di creare un ambiente rilassato dove il bambino la sua mamma siano al centro delle cure”.

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