Calici Solidali: i ragazzi meno fortunati in campo per i ragazzi meno fortunati

NAPOLI – Otto ragazzi con sindrome di down saranno protagonisti di una cena di beneficenza a favore di altri giovani con difficoltà motorie e fisiche.
L’obiettivo è, infatti, quello di incrementare il numero dei partecipanti del progetto “Acqua senza barriere” la cui finalità è quella di favorire l’integrazione, l’autonomia ed i rapporti sociali.
L’appuntamento è per giovedì 24 maggio ed è finalizzato proprio alla raccolta delle risorse che contribuiranno alla concretizzazione dell’iniziativa promossa dall’associazione “Il cielo di Sara”
Location dell’evento sarà l’Agriturismo di città della cooperativa agricola Eccellenze Nolane che si trova a Nola, in via Mario De Sena. Ad accogliere gli ospiti ci saranno dunque gli 8 alunni dell’Istituto Alberghiero di Ottaviano che si dedicheranno al servizio in sala, alla cucina, al bar ed al ricevimento.
I ragazzi, di età compresa tra i 16 ed i 23 anni, saranno dunque i primi a prodigarsi per l’iniziativa dall’alto valore solidale.
Perché partecipare alla cena solidale lo spiega Antonio Foglia dell’associazione “Il Cielo Di Sara”: “Offrire il proprio contributo all’evento significa soprattutto testimoniare che se è vero che esistono barriere fisiche non vi sono invece impedimenti culturali e pregiudizi. Significa, insomma, anche dimostrare che è dovere di chi è più fortunato aiutare chi è più indietro”.
“E’ naturale – dice Giovanni Trinchese di Eccellenze Nolane – aderire e sostenere iniziative come Calici Solidali. Il progetto che con la nostra startup agricola stiamo portando avanti ormai da qualche anno parte proprio da due presupposti: la valorizzazione delle eccellenze, agricole, culturali ed umane del nostro territorio, e l’inclusione sociale”.

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Un nuovo ecografo per lo studio medico del Centro Storico

NAPOLI – Al civico 216 di Via dei Tribunali arrivano persone che non effettuano una visita specialistica o un’ecografia da anni. Si presentano spontaneamente, oppure vengono inviate dalla Croce Rossa, dalla Pastorale Carceraria, dalla Caritas, dalla Comunità di Sant’Egidio, e nello studio medico gratuito del Centro Storico trovano una serie di professionisti – più di 30 tra cardiologi, oncologi, oculisti, neurochirurghi, ginecologi, ortopedici, radiologi, medici ospedalieri – che si prendono cura di loro, mettendo a disposizione il loro tempo e le loro capacità. La struttura, che ha sede nella chiesa di San Tommaso a Capuana, dismessa da oltre trent’anni, è nata nel 2015 grazie al sostegno della Fondazione di Comunità del Centro Storico di Napoli e della Fondazione Banco Napoli, e all’Associazione Sisto Riario Sforza, che ne cura la gestione; in meno di tre anni è diventata un punto di riferimento per la città e la provincia partenopea, realizzando più di 3500 visite e indirizzando circa 500 persone verso strutture specializzate. Dotato di apparecchiature di primo soccorso e dell’unico defibrillatore del Centro Storico, lo studio ora si arricchisce di un nuovo, importante strumento: un ecografo, donato dalla Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale, permetterà ai medici volontari che operano al suo interno di offrire un’assistenza sempre più accurata. «Durante alcune visite ci siamo resi conto che senza un apparecchio del genere non era possibile garantire una diagnosi certa, così abbiamo iniziato la ricerca – ha detto Modestino Caso, presidente dell’Associazione Sisto Riario Sforza, durante la cerimonia di consegna dell’ecografo, il 18 maggio –. Siamo stati aiutati da Papa Francesco, che era stato informato del nostro lavoro, dalla Fondazione di Comunità del Centro Storico, dal Pio Monte della Misericordia, che si è assunto anche l’onere di riparare l’edificio, dal momento che una parte è crollata, e adesso dalla Fondazione Terzo Pilastro, che ci ha permesso di essere veramente operativi». «A Napoli ho appreso di questa iniziativa meritevole, gratuita, di sostegno al quartiere e alla richiesta dell’ecografo ho risposto immediatamente sì», ha dichiarato Emmanuele F.M. Emanuele, presidente della Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale, che interviene «in quei campi dove il bisogno della società è maggiore, la salute, la ricerca scientifica, il sostegno ai meno fortunati, la cultura. A me sembra doveroso farlo perché sono meridionale: la Campania, la Calabria, la Sicilia, il Nord Africa, il Medio e Vicino Oriente, tutto il mondo che oggi ha dei grandi problemi deve essere assistito».

Un presidio serio e qualificato – Secondo Adriano Giannola, presidente della Fondazione di Comunità del Centro Storico di Napoli, «capire che questo è un presidio importante, serio e qualificato, è la miglior garanzia per il suo mantenimento e funzionamento. La crescita è stata continua e oggi siamo arrivati a custodire un macchinario di altissima qualità. Tra i nostri compiti c’è quello di fare da catalizzatori di esperienze e progetti: sin dalla nascita della struttura c’è stata una convergenza di interessi e molto importante è stata la risposta degli illustri accademici che hanno dato la loro disponibilità», tra cui il cardiologo Scipione Carbone e i neurochirurghi de Divitiis, padre e figlio. In questi anni i volontari dell’Associazione Sisto Riario Sforza e i medici sono riusciti a «far ricoverare persone poverissime che abitano nella zona, ammalate di tumore, che hanno almeno finito la loro vita in condizioni decorose – ha aggiunto Caso –. In genere facciamo quattro o cinque visite al giorno, non tutte qui, ma i numeri a volte salgono di molto: il professor Argenziano, dermatologo, che è venuto fino a poco tempo fa, ne effettuava ad esempio più di trenta per volta, così adesso il venerdì mattina mandiamo i pazienti al Policlinico nuovo con una nostra richiesta». Per accedere al servizio è necessario presentare copia del modello Isee; lo studio (tel. 0812110894) è aperto dal lunedì al venerdì, mattina e pomeriggio.

di Paola Ciaramella

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Istat: il volontariato fa bene

ROMA- Chi vive meglio fa più volontariato. E chi fa volontariato vive meglio. La doppia relazione tra il benessere personale e lo svolgimento di attività gratuite di solidarietà era già nota agli studiosi, ma il 26° rapporto annuale dell’Istat sulla situazione del paese aggiunge due nuovi elementi: più il volontariato è svolto in età avanzata e più si è soddisfatti della propria vita; e più si è in difficoltà, più intense sono le sue ricadute positive. Il rapporto, presentato ieri, è incentrato quest’anno sulle “reti e le relazioni sociali” e analizza in particolare la popolazione alla luce della sua presenza in reti di sostegno (formali e informali), di amicizia, di lavoro, di cultura ecc. Ed uno dei fattori che determina la “situazione” degli italiani all’interno di queste reti, il loro livello di partecipazione e perfino di ottimismo, è appunto l’appartenere o meno a quel 13,2 per cento di persone oltre i 14 anni che hanno svolto (dato 2016) un’attività gratuita negli ultimi 12 mesi.

Nel capitolo su “Associazionismo e benessere” (pag. 227-234), l’Istat riporta anzitutto gli studi in base ai quali chi si trova in condizioni migliori di vita decide di impegnarsi nel volontariato più frequentemente di chi sta in condizioni meno soddisfacenti; e riporta, da queste attività, un appagamento dei propri bisogni soggettivi e una crescita del benessere, soprattutto perché l’appartenere a gruppi e strutture associative arricchisce la “rete di relazioni interpersonali e gli scambi sociali” e soddisfa il bisogno di socialità.

Nello specifico, “la percentuale di volontari che si dichiara molto soddisfatta per le relazioni familiari è del 40,1 per cento contro il 32,7 di chi non svolge attività gratuite; analogamente per le relazioni con gli amici il miglioramento è di 10,3 punti percentuali (32,8 contro 22,5), mentre scarti rilevanti si registrano per il proprio tempo libero (20,7 contro 13,8 per cento) e anche per la salute (22,3 contro 16,8 per cento). Analizzando il giudizio per la vita nel complesso, la differenza tra i punteggi espressi dai volontari rispetto ai non volontari è netta: tra i primi oltre la metà esprime un punteggio alto (tra 8 e 10), mentre la quota è del 40 per cento tra chi non svolge attività di volontariato”.

È a questo punto che emerge come la soddisfazione per la propria vita – quando è legata all’attività associativa – cresca al crescere dell’età. Infatti, se tra i ventenni l’impegno non influisce sul grado di tale soddisfazione (che rimane sul 55 per cento in entrambi i casi), lo scarto nel benessere percepito tra chi fa o non fa volontariato arriva a quasi il 21 per cento tra gli ultrasettantenni: 56 contro 35 per cento. L’Istat sottolinea come il fatto di attribuire un valore crescente all’associazionismo con l’avanzare dell’età sia confermato da diversi studi, secondo cui l’impegno a favore degli altri è in grado di contrastare la percezione di solitudine, riduce i sintomi depressivi, migliora le prestazioni cognitive e incrementi il benessere mentale. In altre parole, impegnarsi nel volontariato promuove quello che viene definito “invecchiamento attivo”, contribuendo a “migliorare la qualità della vita una volta che vengano a mancare dimensioni importanti della propria identità, come il ruolo genitoriale (indipendenza dei figli) o quello professionale (pensionamento)”.

Dal rapporto emerge infine un ulteriore aspetto delle proprietà “benefiche” del volontariato, il quale tra l’altro viene posto da tutta la popolazione italiana in testa alle attività più “piacevoli” della giornata (battendo anche il tempo libero in una classifica in cui agli ultimi posti vi sono lo studio e il lavoro…). Da una parte si conferma come tra i fattori che più incidono sulla partecipazione ad associazioni vi siano il titolo di studio (il 5,1 per cento di chi ha una licenza elementare o nessun titolo svolge attività gratuite, contro il 23,3 per cento dei laureati), l’essere già coinvolti in altri contesti di socializzazione, come la scuola o l’ambiente di lavoro, e il reddito personale o familiare. Dall’altra l’Istat fa però notare che gli effetti maggiori dello svolgere attività solidali siano dichiarati soprattutto “dalle persone con risorse economiche scarse o insufficienti, dalle casalinghe, dalle persone in cerca di lavoro o con un basso titolo di studio, confermando come fare volontariato abbia ricadute positive soprattutto nelle persone a rischio di marginalità”.

di Stefano Trasatti, da CSVnet

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Human Rights Film Tour, da Napoli un messaggio di pace e uguaglianza

NAPOLI- «Quanto hanno pagato per te i tuoi?». «Dodici mila dollari o forse tremila, se non hai la dote». Il dialogo tra amiche sullo schermo getta luce su una realtà agghiacciante, quella dei matrimoni forzati, raccontata dalla regista iraniana Rokhsareh Game Magham nel film «Sonita», scelto come spunto di dibattito per la tappa napoletana dello Human Rights Film Tour, organizzato dal ministero degli Affari Esteri della Confederazione Elvetica, il Festival del Cinema dei Diritti Umani di Ginevra e l’Alto Commissariato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite. La proiezione nella Sala del Capitolo del complesso di San Domenico Maggiore ha calamitato l’attenzione del pubblico nel tratteggiare la storia (vera) della protagonista, che simboleggia il totale asservimento all’uomo della figura femminile nei Paesi islamici, finanche laddove Sonita, ripresa dalla cineasta nel suo letto mentre sta per addormentarsi le intima: «spegni la telecamera, devo togliere il velo per andare a letto». Una storia che è stata proiettata all’interno del festival itinerante, partito il 10 dicembre scorso in Pakistan e che terminerà il prossimo 10 dicembre, giorno del settantesimo anniversario dalla firma della Carta dei Diritti Umani, dopo avere attraversato oltre 40 Paesi.
 
«Sonita», storia della rapper iraniana riuscita a salvarsi da un matrimonio combinato grazie alle sue canzoni, è stato riprodotto in entrambe le sessioni della giornata, sia la mattina nella facoltà di Giurisprudenza della Federico II che nel pomeriggio a San Domenico Maggiore. «Il tema – ha spiegato la regista – è legato alla carenza di opportunità delle donne: non sono educate, non sono istruite, c’è mancanza di lavoro e povertà. Alla base di tutto c’è la disuguaglianza economica, oltre a tradizioni antiche sbagliate e non più adatte oggi. I Paesi del mondo occidentale stigmatizzano questi comportamenti, ma a loro volta alimentano un capitalismo sfrenato che è causa di diseguaglianze». «È difficile – ha aggiunto – essere registi in un Paese come l’Iran, ma c’è anche da dire che il 25% dei cineasti iraniani sono donne». Il festival, aperto dai saluti del sindaco Luigi de Magistris, ha visto tra gli interventi quello di Paolo Rozera, direttore generale Unicef Italia: «Dopo 70 anni i diritti nel mondo sono continuamente violati. In particolare quelli delle donne. Ad oggi ci sono 650mila donne che si sono sposate prima di compiere i 18 anni e più della metà prima dei 15». Secondo il coordinatore del festival Maurizio Del Bufalo, «organizzare questa giornata è sembrato il modo migliore per ricordare che da 70 anni esiste la Carta dei Diritti Umani. Ma la guerra in Medio Oriente, alle porte di casa, è l’effetto della dimenticanza di questo documento».
 
di Giuliana Covella

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Ti ribalto, un racconto sulla disabilità fuori dagli schemi

MILANO- Raccontare la disabilità fuori dagli stereotipi. È la scommessa di Ti Ribalto, il Festival delle arti in programma dall’8 al 10 giugno presso il nuovo Teatro Bruno Munari di Milano, per la prima volta sede della rassegna ideata e curata dalla Piccola Accademia della Cooperativa sociale Cascina Biblioteca. Più di 80 attori disabili e 40 volontari, tra operatori, educatori e semplici cittadini, sono i protagonisti dei 10 spettacoli in cartellone, che quest’anno arricchisce il suo ventaglio di proposte con una serie di attività pomeridiane pensate per coinvolgere maggiormente il pubblico: proiezioni, laboratori, lezioni aperte e una tavola rotonda organizzata in collaborazione con il Teatro del Buratto. Ti ribalto – il nome lo suggerisce – racconta la disabilità senza retorica, perché mette in luce abilità e normalità delle persone più fragili grazie all’esperienza teatrale e alla sinergia tra discipline diverse: teatro, danza e musica. Sono loro, i linguaggi universali per il palcoscenico, il filo conduttore di questa quarta edizione che, attraverso l’utilizzo di differenti espressioni artistiche, punta a migliorare la qualità della vita di persone con disabilità fisica o intellettiva. Il Festival della Piccola Accademia, infatti, si propone come un punto di riferimento e d’incontro per tutte quelle realtà e quei progetti che promuovono l’arte come potente strumento di emancipazione e inclusione. Nato per presentare il lavoro fatto nei corsi e nei laboratori della Piccola Accademia, Ti Ribalto è diventato in pochi anni una manifestazione culturale tout court conquistando l’attenzione della stampa specializzata e di altre compagnie italiane impegnate nel sociale. A quest’edizione partecipano in qualità di compagnie ospiti ben quattro associazioni: ATIR – Teatro Ringhiera, L’Impronta Associazione onlus, il CRAMS – Centro Ricerca Arte Musica e Spettacolo di Lecco e il Gruppo Teatrale ACCUA del Centro Socio Educativo “Francesca” di Urbino. Entro il 2020 – spiegano gli organizzatori – «vogliamo realizzare un festival internazionale, capace di coinvolgere anche realtà provenienti dall’estero. Il nostro obiettivo è di aprirci per rendere la rassegna sempre più interattiva e partecipata, anche da parte del pubblico».

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