“Mai spegnere la luce”: Rita Terracciano trasforma il dolore in parole nel suo primo racconto autobiografico

“Mai spegnere la luce” è il primo racconto autobiografico di Rita Terracciano, insegnante e giornalista, che ha scelto di trasformare una perdita intima e profonda in un atto d’amore universale.
 Il libro è nato nei giorni in cui l’autrice ha vissuto il Natale accanto alla nonna Livia – per tutti Anna – tra ospedali, ricordi, silenzi e gesti che rimangono scolpiti nella memoria.

Un diario che diventa racconto, una voce che si fa luce anche nel buio più grande.
”Scrivere è stato come attraversare il dolore a piedi nudi, ma anche come accendere una candela in una stanza che non volevo lasciare”, racconta l’autrice.
Ma “Mai spegnere la luce” non è solo il racconto di un lutto. È soprattutto il racconto di un amore assoluto: quello tra una nipote e la nonna che l’ha cresciuta, amata, accompagnata in ogni passo. Rita era per lei “la quarta figlia”. Questo libro nasce da quel legame speciale, unico, che ha avuto la forza di tenere insieme due vite. E ora, con le parole, continua a farlo.
Attraverso pagine cariche di emozione, fotografie in bianco e nero, citazioni letterarie e pensieri mai detti, Rita Terracciano costruisce un ponte tra chi resta e chi se ne va, rendendo ogni lettore parte di un viaggio intimo ma condivisibile.
 Un libro che tocca chiunque abbia amato profondamente.
 Un omaggio a tutte le nonne che hanno lasciato luce, dolcezza e insegnamenti silenziosi.
Il libro è disponibile su Amazon al seguente link: https://amzn.eu/d/0l4zoA3
CHI È L’AUTRICE

Rita Terracciano è una giovane donna, insegnante di lettere e giornalista pubblicista. Vive a Sant’Anastasia, ai piedi del Vesuvio, dove coltiva la scrittura come forma di memoria e resistenza affettiva.
Collabora da anni con testate giornalistiche e progetti scolastici, unendo passione educativa e sensibilità narrativa. È cresciuta accanto alla nonna Livia – per tutti Anna – che l’ha amata come una figlia. Un legame unico, che oggi custodisce e restituisce con la scrittura, come forma di gratitudine e amore. “Mai spegnere la luce” è il suo primo racconto autobiografico, una storia vera, delicata e potente, che attraversa il lutto con grazia e luce.

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PNRR e Terzo Settore: riflessioni e criticità della rimodulazione 2024

Meno risorse finanziarie e scarsa trasparenza minano l’efficacia delle misure per il sociale.

Un’analisi attenta sull’attuale stato di attuazione del PNRR attraverso le “lenti” del Terzo settore –attuazione che risulta ormai in una fase di fatto avanzata dato che molti interventi sono completati o in via di completamento – consente di sviluppare alcune riflessioni generali e complessive in merito, soprattutto, agli effetti della più recente rimodulazione del Piano, alle conseguenze in merito ai temi cari al mondo del Terzo settore e alla mancanza di trasparenza a chiarezza sull’attuazione in concreto del Piano.

La più recente e importante revisione del Piano – definitivamente approvata dalle Istituzioni europee nel dicembre 2023 e successivamente formalizzata a livello nazionale con il d.l. n. 19/2024 – è intervenuta significativamente sul disegno originario.

 

Il riferimento è anzitutto alle modifiche quantitative degli interventi programmati: 265 le misure tuttora previste (tra queste 199 investimenti e 66 riforme), oltre 100 in meno rispetto alle 361 del “vecchio” PNRR (tra i 292 investimenti e le 69 riforme originariamente fissati). Circa 22 miliardi di euro sono stati oggetto di rimodulazione, molti dei quali destinati a finanziare la nuova misura RepowerEU: peraltro circa 5 miliardi di euro provengono da riduzioni delle misure sociali. Molte scadenze sono poi state procrastinate, in molti casi sono state concentrate nell’ultimo anno del Piano. L’investimento più importante è oggi rappresentato dalle risorse stanziate (14 miliardi di euro) per il c.d. ecobonus, seguono il credito d’imposta per i beni strumentali 4.0 (con 8,9 miliardi di euro) e la transizione 5.0 (6,3 miliardi di euro).

Sebbene l’importo totale dell’attuale PNRR sia salito (da 191,5 miliardi di euro) a 194,4 miliardi di euro, sono davvero poche le misure di specifico interesse del Terzo settore per le quali si attesta un importante incremento di finanziamento (tra queste, gli investimenti in materia di politiche attive del lavoro e di assistenza domiciliare), mentre sono numerosi i settori definanziati dalla revisione del Piano e, di conseguenza, i progetti – soprattutto sociali – che si sono arrestati. 

 

Sono 18 le misure di interesse per il mondo del Terzo settore modificate proprio dal d.l. n. 19/2024.

Per alcune di esse è intervenuta una riduzione parziale della dotazione finanziaria: il riferimento è alla misura relativa ai Piani Urbani Integrati (PUI) (la cui riduzione è pari a 1,6 miliardi di euro), a quella concernente interventi di rigenerazione urbana (per circa 1,3 miliardi di euro) e all’investimento relativo alla costruzione o l’ammodernamento di asili nido e scuole dell’infanzia (riduzione di circa 1,4 miliardi di euro). Due misure sono state totalmente definanziate e, quindi, eliminate dal Piano (quella concernente la valorizzazione dei beni confiscati alla mafia e quella relativa alle infrastrutture sociali di comunità) e una misura risulta commissariata (il riferimento è all’investimento volto all’abbattimento degli insediamenti abusivi per contrastare il caporalato). 

Importanti investimenti cardine del Piano – per le quali il “vecchio” PNRR aveva evocato il coinvolgimento degli enti del Terzo settore, pur non garantendo allora un loro effettivo coinvolgimento nella fase attuativa – sono stati quindi oggetto di una revisione in pejus e di un’inopportuna riduzione dei relativi finanziamenti, pur interessando temi di estrema rilevanza per la vita quotidiana dei cittadini e per la cui attuazione il coinvolgimento diretto degli Ets, quali forze sociali radicate nella società italiana e rilevanti per la progettazione, la pianificazione e l’implementazione delle politiche pubbliche, avrebbe potuto essere decisivo. 

Ciò detto, se è indubbio che gli strumenti dell’amministrazione condivisa, ove effettivamente praticati, possono essere garanzia di maggior successo nell’attuazione del PNRR (sia “vecchio” che “nuovo”), essi lo sono ancor più adesso che il Piano risulta depauperato di risorse specificamente funzionali all’attuazione di misure di rilevanza sociale e le fragilità delle macchine amministrative locali risultano sempre più evidenti a fronte di un progressivo accentramento statale nella gestione delle misure, rendendo ancor più difficile e rallentata la loro attuazione. Soltanto un’azione congiunta, in termini di competenze, visione ed esperienza, può infatti offrire una risposta efficace e valida ai bisogni delle comunità e permettere al PNRR di centrare i suoi obiettivi di sviluppo sociale ed economico sui territori. 

 

Sinora le rendicontazioni trasmesse alle Istituzioni europee in merito alle attività nazionali poste in essere sono state approvate e hanno di fatto consentito le diverse erogazione semestrali di finanziamento da parte dell’UE

Ciò non toglie che ai cittadini non risulta costantemente fornita una chiara e dettagliata informazione sull’attuazione del Piano. 

Per lungo tempo i dati accessibili sono stati infatti pochi e non aggiornati sia sul portale governativo “Italia domani” che sui siti web dei Ministeri di riferimento e su altre fonti ufficiali: ad esempio, dalla data di approvazione europea delle modifiche sopracitate (dicembre 2023), si è atteso quattro mesi (aprile 2024) per la pubblicazione da parte del Governo della descrizione e degli importi delle misure del “nuovo” PNRR, oltre che dei dati sullo stato di avanzamento finanziario e dei lavori per i singoli progetti e opere finanziate. Solo da allora è stato possibile cominciare a conoscere e (iniziare a) monitorare concretamente il Piano revisionato. 

Oggi, pur constatata la positività di una (seppur tardiva) pubblicità dei dati relativi all’organizzazione delle misure e allo stato di avanzamento procedurale dei progetti in essere, persistono importanti criticità dato che un esatto e quotidiano monitoraggio sull’andamento dei progetti in essere (che consenta di seguire l’inizio, l’avanzamento e la conclusione dei lavori) è e sarà possibile soltanto se i dati in questione risulteranno aggiornati con regolarità, chiarezza e completezza contenutistica a beneficio dei cittadini, degli analisti e degli stessi decisori politici.

 

di Chiara Meoli (Forum Nazionale del Terzo Settore ETS)

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Quei dolci che sanno di rinascita. Nel carcere di Carinola la pasticceria diventa occasione di riscatto, formazione e speranza per i detenuti

Lavorano di dolcezza, sfornando ogni giorno le paste più buone della pasticceria tradizionale campana, da sua maestà il babà alla sfogliatella dal cuore tenero, passando per la classica zeppola di San Giuseppe. Pasticceria di alta qualità che assume un significato ancora più importante, se a realizzare ogni giorno queste delizie non sono pasticcieri qualunque, ma i detenuti del carcere di Carinola (CE), grazie al progetto “FaRinati”, messo in campo dall’associazione Generazione Libera, vincitrice di un bando della Casa di reclusione. Nel nome dell’iniziativa c’è tutto il senso di questo progetto pilota partito circa due anni fa nell’istituto penitenziario del comune casertano: «Come suggerisce la parola FaRinati, i nostri pasticcieri sono “rinati”, perché dopo aver percorso un pezzo di vita in cui sono caduti, e aver giustamente pagato, oggi si rialzano e vivono una rinascita», spiega Rosario Laudato, presidente dell’associazione Generazione Libera. C’è poi un altro significato che ha strettamente a che fare con il grano: «L’uomo si è sempre nutrito del grano, quindi di pane. Dalla semina alla mietitura trascorrono nove mesi, lo stesso tempo che serve a una donna per mettere al mondo un bambino». A Carinola, carcere che conta circa 500 detenuti, sono in 4 a lavorare, con regolare contratto part-time, nel laboratorio ospitato nella casa di sicurezza, che produce non solo dolci, ma anche rustici, nel rispetto della tradizione ma anche delle richieste, per fortuna numerose, che arrivano anche da fuori. Un elemento, quello della qualità e dell’apertura del mercato esterno, assolutamente importante in questa esperienza che combina rieducazione e inclusione sociale. «Non è facile vendere prodotti realizzati in carcere, se poi non si fa un buon prodotto, la partita è persa in partenza: noi proponiamo il nostro prodotto, deve piacere prima quello, poi dentro c’è tutto il significato che porta con sé. Nel primo anno abbiamo venduto circa duemila panettoni a Natale; anche le nostre colombe artigianali sono state molto richieste».

Chiunque può contattare FaRinati ai suoi contatti telefonici e Social per fare un ordine. Anche se l’orgoglio più grande è quello di aver portato un po’ di dolcezza all’interno di un luogo, per sua natura, triste, allietando anche eventi che coinvolgono la popolazione carceraria, come i matrimoni. «Non solo i detenuti fanno il loro ordine settimanale ma, in caso di matrimoni o compleanni, laddove prima era impossibile ordinare qualcosa dall’esterno, a causa dei numerosi controlli che la direzione del carcere ha l’obbligo di fare, oggi diventa possibile e anche semplice ordinare una torta e vivere un momento speciale all’interno delle mura carcerarie», sottolinea Laudato. Che aggiunge: «Abbiamo apprezzato molto la sensibilità dell’amministrazione penitenziaria, che ci ha aperto le porte, mettendo dei locali a disposizione per il laboratorio di produzione e la pasticceria, e che si è anche resa disponibile ad ampliare il raggio del progetto, dando così una opportunità di formazione lavoro ad un numero maggiore di detenuti». Forse proprio per il successo dell’iniziativa, che sta andando avanti con le sue gambe: «Noi facciamo la nostra parte come terzo settore, non siamo in carcere per fare business. L’obiettivo è quello di mettere al centro l’uomo. I prodotti sono importanti perché il progetto possa sostenersi, ma devono crederci prima loro».

I giovani pasticcieri di FaRinati hanno tra i 30 e i 40 anni, alcuni sono alle prime armi, altri più esperti, tutti grati di avere avuto una seconda chance. Sostenere i soggetti più fragili promuovendo occasioni di inserimento sociale e lavorativo è la mission principale di Generazione Libera, associazione da sempre impegnata sul territorio casertano nella difesa dei diritti dell’uomo. Dal teatro alla pasticceria, passando per la ciclofficina, sono diversi i progetti che hanno come protagonisti immigrati, disabili, persone in difficoltà. Tra poco, a Piana di Monte Verna, piccolo comune casertano vicino al più noto Caiazzo, nascerà anche una casa di accoglienza destinata a detenuti senza dimora. «Siamo molto fieri – racconta il presidente – perché della ristrutturazione dell’appartamento individuato per ospitare la struttura, si stanno occupando proprio i detenuti che, nel frattempo, si sono formati e hanno imparato il mestiere chi di muratore, chi di idraulico, chi di artigiano, quindi tutte quelle figure che oggi paradossalmente mancano e sono le più ricercate nella nostra società». Dunque, una nuova vita per gli individui, ma anche per la comunità.

 

di Maria Nocerino

 

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Autismo, la cooperativa sociale ‘Il Tulipano’ alla conferenza ONU di New York. Minucci “Invitati da Ministero Disabilità per condividere le nostre best practice su inserimento lavorativo, percorsi di autonomia e di vita”

Il Tulipano è stato invitato alla conferenza Onu di New York per raccontare le proprie attività inclusive, divenute oramai best practice, che svolge all’interno del Parco Archeologico di Pompei, dove si coniuga inserimento lavorativo e inclusione sociale, attraverso percorsi di autonomia per ragazzi e giovani adulti, all’interno di ‘Parvula Domus’ la fattoria culturale e sociale di cui i giovani si prendono cura. La fattoria  si trova nell’anello extra moenia del Parco Archeologico di Pompei, luogo di Bellezza tra Natura e Archeologia, dove i giovani del Tulipano sono impegnati in attività: di cura degli orti sociali, coltivando frutta e verdura prodotta all’interno delle aree verdi del parco, che raccolte vengono poi trasformate in  confetture e/o marmellate; gestiscono un’ alveare per attività di apicoltura didattica; promuovono percorsi di educazione alla bellezza del verde e della biodiversità con l’accoglienza di gruppi ed associazioni. Il Tulipano da anni promuove e realizza percorsi di fruizione inclusiva dei luoghi della cultura e dei musei, attività in cui le Persone tutte, ciascuna con la propria Unicità, vengono accolte con proposte di percorsi inclusivi finalizzati all’apprendimento e alla socializzazione in contesti di Bellezza.

“Quella di New York è una tappa importantissima che testimonia il valore delle progettualità che siamo riusciti a sviluppare in questi anni, oggi divenuto Modello di Welfare Culturale. Il nostro obiettivo è creare percorsi di vita in cui le persone con autismo e/o disabilità cognitiva riescono a diventare autonomi da un punto di vista non solo sociale ma anche e soprattutto lavorativo. Cerchiamo di offrire opportunità concrete ai nostri giovani che trovano la loro collocazione all’interno dei progetti, ognuno con le sue peculiarità e unicità, lo facciamo all’interno del Parco Archeologico più famoso al mondo, un luogo di fragilità che accoglie persone fragili che a loro volta se ne prendono cura e lo valorizzano con la loro operosità. Un circolo virtuoso dove archeologia natura si intrecciano e diventano fonte di Benessere per uno sviluppo sostenibile, ambientale e sociale, finalizzato all’autonomia. Con ‘Parvula Domus’ il Parco Archeologico di Pompei diviene luogo di connessioni tra la città antica e la città moderna grazie all’impegno e al lavoro dei nostri giovani che lo rende ancora di più luogo unico al mondo”. Questo quanto dichiarato da Giovanni Minnucci, presidente della Cooperativa Sociale ‘Il Tulipano’.

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La stangata sui centri estivi: costi in aumento del 23% negli ultimi due anni

I costi dei centri estivi sono diventati un peso insostenibile per la maggior parte delle famiglie italiane, con un aumento medio del 12,3% rispetto al 2024 e un impressionante +22,7% rispetto al 2023. È quanto emerge dall’ultima indagine realizzata da Adoc ed Eures, che per il terzo anno consecutivo ha condotto una “mystery client” su circa 200 centri estivi in otto città italiane (Milano, Torino, Bologna, Roma, Firenze, Napoli, Bari e Palermo).

“Ancora una volta, in vista della lunga estate, le famiglie si trovano a dover affrontare una vera e propria emergenza economica e sociale”, dichiara Anna Rea, Presidente Adoc. “La chiusura delle scuole per 10 o 13 settimane, a seconda del ciclo scolastico, pone le numerosissime famiglie che non possono contare su un sostegno familiare – nonni, zii, ecc. – nella condizione di dover destinare ingenti risorse finanziarie per sopperire a quella che sembra essere un’anomalia tutta italiana. L’Italia, infatti, è uno dei pochi Paesi europei dove le scuole ‘vanno in vacanza’ per tre mesi pieni, contro le 6-8 settimane di Germania, Francia o Regno Unito.”

Lo studio rivela che il costo medio settimanale di un centro estivo a tempo pieno in Italia si attesta a 173 euro. Per una famiglia con un solo figlio, che necessiti di otto settimane di centro estivo (considerando un mese di ferie dei genitori), la spesa media sfiora i 1.400 euro (1.384 euro). La situazione si aggrava notevolmente per le famiglie con due figli: il costo totale può arrivare a 2.671 euro, equivalente a circa una volta e mezzo una retribuzione media mensile. Questo perché lo sconto medio per i fratelli, quando applicato (solo nel 40% dei casi), raramente supera il 10%. Il servizio di refezione è presente nel 71,7% dei centri estivi, mentre il restante 28,3% richiede il “pranzo al sacco” (demandando ai genitori anche l’onere della preparazione del pasto da casa) o il pagamento di una ulteriore quota per questo “extra”.

Le disparità territoriali sono marcate: le famiglie del Nord spendono mediamente 189 euro a settimana, al Centro 162 euro e al Sud 134 euro. Milano si conferma la città più cara, con un costo medio settimanale a tempo pieno di 227 euro, quasi il doppio rispetto a Bari (109 euro). A seguire Firenze (177 euro) e Bologna (172 euro). Per otto settimane di centro estivo a tempo pieno, le famiglie milanesi arrivano a spendere quasi 2.000 euro per un figlio (1.816 euro) e oltre 3.500 euro per due figli (3.505 euro).

L’incremento dei costi è decisamente superiore all’inflazione media annua (pari all’1,7% nel 2025 secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale). Tra il 2023 e il 2025, l’aumento maggiore si registra al Centro (+31,7%), seguito dal Sud (+27,6%) e dal Nord (+18,9%).

Centri estivi: costi insostenibili e mancanza di supporto alle famiglie

I costi dei centri estivi sono diventati un peso insostenibile per la maggior parte delle famiglie, risultando spesso ingiustificati e inaccessibili. Come sottolinea Anna Rea, Presidente Adoc, questa problematica è ulteriormente aggravata dal prolungato periodo di chiusura delle scuole. Un ciclo che si ripete ogni anno, ricadendo esclusivamente sui genitori, in particolare su chi lavora a tempo pieno, non ha una rete di supporto familiare o dove il carico è sostenuto principalmente dalle madri. Oltre al senso di abbandono che assale i genitori, a rischio sono l’apprendimento e le competenze acquisite dai bambini e dai ragazzi durante l’anno scolastico, con un conseguente ampliamento delle disuguaglianze sociali. Non tutte le famiglie, infatti, possono permettersi attività ricreative, centri estivi o vacanze studio, lasciando i più vulnerabili “parcheggiati” sul divano, spesso davanti a tablet o cellulari.

“Nonostante le numerose promesse e le dichiarazioni di intenti, il governo Meloni ha palesemente fallito nell’affrontare le reali necessità delle famiglie. Continua a ignorare il peso economico e sociale dei crescenti costi dei centri estivi e la lunga chiusura delle scuole, lasciando che l’onere ricada interamente sui genitori senza offrire soluzioni concrete e strutturali che, come Associazione, chiediamo da tempo. Servono risposte non solo a parole, ma con fatti tangibili. Ci aspettavamo una maggiore attenzione alle politiche a sostegno della genitorialità e dei bambini. Invece, non solo non vediamo alcun passo avanti sulla scuola, ma assistiamo a un ingiustificato aumento dei costi dei centri estivi rispetto agli anni precedenti. Questa non è una politica a favore dei bambini, delle famiglie e, in particolare, delle donne. Un’incoerenza veramente grave e irresponsabile per un Paese con la natalità più bassa di tutta l’Europa, che rischia sempre più di invecchiare, dove i giovani scappano per andare a lavorare e per costruire una famiglia all’estero. Chiediamo con forza una revisione complessiva del calendario dell’anno scolastico, per garantire una maggiore continuità educativa e ridurre il “buco” estivo, la detraibilità dei costi dei centri estivi nel modello 730 e politiche che dimostrino una reale vicinanza alle famiglie, con misure di sostegno alla genitorialità efficaci e tangibili, al di là di meri proclami”, è quanto dichiarano quelli di Adoc.

Qui il dossier completo

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Un nuovo Rotary per il territorio: nasce il Club Somma Vesuvio Nord “Villa di Augusto”

E’ prevista per domani, 10 giugno 2025, alle ore 20.00, presso il Pluma di Somma
Vesuviana, la cerimonia ufficiale di consegna della Carta costitutiva del Club Rotary
Somma Vesuvio Nord “Villa di Augusto” da parte del Governatore del distretto 2101,
Antonio Brando. Il club è stato accolto nella famiglia rotariana l’08 maggio 2025 e il primo
Presidente eletto è Silvia Svanera. Presenzieranno alla cerimonia il Presidente del Club
padrino Nola-Pomigliano d’Arco, Fabio Papaleo e l’assistente del Governatore, Antonino
Pardo.

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