Nel triennio 2025-2027 gli Enti del Terzo Settore (ETS) avranno a disposizione 141 milioni di euro per proprie iniziative e progetti. A definire il quadro delle risorse finanziarie, nonché la loro ripartizione in base a obiettivi generali e aree prioritarie di intervento è lo schema di atto d’indirizzo firmato dal Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Marina Calderone, il 7 agosto 2025 e attualmente al vaglio degli organi di controllo.
Il provvedimento, previsto dagli articoli 72 e 73 del Codice del Terzo Settore (D.Lgs. n. 117/2017) è stato adottato previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano.
Finalizzato a sostenere il modello di regolazione promozionale alla base del Codice del Terzo Settore, l’atto di indirizzo ha come obiettivo la promozione, attraverso il Fondo per il finanziamento di progetti e di attività di interesse generale nel Terzo Settore, dell’autonoma crescita degli ETS, sia in termini di capacità auto-organizzativa, sia come capacità di incrementare le proprie attività statutarie di interesse generale così da meglio rispondere alle esigenze in arrivo dal contesto di riferimento.
“Gli Enti del Terzo Settore rappresentano una risorsa fondamentale per il nostro Paese – ha sottolineato il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Marina Calderone -; con la loro capacità di costruire reti territoriali, interpretare i bisogni sociali e promuovere inclusione e solidarietà contribuiscono in modo concreto alla coesione delle nostre comunità”.
Le risorse del triennio (141.307.766,49 euro in totale) saranno dedicate al finanziamento degli interventi secondo la seguente ripartizione:
L’atto di indirizzo definisce inoltre la ripartizione regionale delle risorse, assegnate per il 30% del totale a titolo di quota fissa, per il 20% sulla base della popolazione residente al primo gennaio 2025, come da rilevazione Istat e per il 50% sulla base del numero degli ETS iscritti al RUNTS a inizio anno.
Sempre nell’ambito dell’attuazione del Codice del Terzo Settore è stato inoltre firmato il Decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali con cui si dà attuazione all’articolo 96 del D.Lgs. 3 luglio 2017 n. 117. Oltre al parere del Ministro dell’Interno è stata acquisita il 30 luglio 2025 l’intesa della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano.
Il decreto, composto da 6 titoli e 23 articoli definisce le forme, i contenuti, i termini e le modalità di esercizio delle funzioni di vigilanza, controllo e monitoraggio sugli ETS, escludendo le imprese sociali e le società di mutuo soccorso. I controlli sono distinti in ordinari, programmati (con cadenza triennale) e straordinari (riservati agli uffici del RUNTS e attivati a seguito di esigenze istruttorie o segnalazioni). Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali è vigilante sui soggetti privati autorizzati, con potere di revoca in caso di perdita dei requisiti o inidoneità. Lo stesso decreto definisce inoltre le forme di raccordo con altre amministrazioni interessate, i requisiti e le procedure per individuare le Reti associative nazionali e i CSV da autorizzare all’esercizio dei controlli nonché i criteri per l’attribuzione delle risorse finanziarie legate all’esercizio dei controlli, graduate in relazione alla dimensione economica degli ETS controllati.
L’avvio del primo triennio di controlli sarà definito con un ulteriore decreto ministeriale relativo all’attivazione del sistema informativo dedicato.
Fonte com. Stampa del Min. Lavoro dell’8 agosto 2025
Parlare di diritto di cittadinanza significa affrontare un tema complesso, spesso divisivo. Il referendum dell’8 giugno ne è una prova: se sui quesiti legati al diritto del lavoro l’orientamento è stato netto, sulla riforma dell’accesso alla cittadinanza italiana il dibattito ha profondamente diviso l’opinione pubblica.
Questo nonostante le migrazioni facciano parte della nostra realtà da decenni, e migliaia di volontari e associazioni siano quotidianamente impegnati nell’accoglienza, nell’integrazione e nella mediazione culturale. Le incertezze spesso nascono dalla difficoltà di comprendere fenomeni complessi, che suscitano timori e appaiono lontani.
Eppure, una comunicazione più chiara, documentata e priva di semplificazioni potrebbe aiutare a sviluppare consapevolezza e senso critico. Promuovere un’informazione libera e accessibile è essenziale per consentire alle persone di formarsi un’opinione consapevole, al riparo da narrazioni distorte o polarizzanti.
Attualmente, la legge italiana sulla cittadinanza si basa sul principio dello ius sanguinis, secondo cui è cittadino italiano chi nasce da genitori italiani. La normativa consente anche alle persone straniere di ottenere la cittadinanza, purché risiedano legalmente e ininterrottamente in Italia da almeno 10 anni e soddisfino specifici requisiti: conoscenza della lingua italiana almeno di livello B1, reddito adeguato, assenza di condanne penali e di motivi ostativi legati alla sicurezza dello Stato.
Da tempo si discute della necessità di riformare questi criteri, ritenuti troppo rigidi, in risposta a una sensibilità crescente nel Paese, soprattutto tra volontari e associazioni impegnati ogni giorno nell’accoglienza e nell’integrazione delle persone straniere.
Le idee di riforma che stanno avendo maggiore diffusione sono ispirate a due principi: lo ius soli e lo ius scholae.
In applicazione dello ius soli, acquisirebbero la cittadinanza italiana tutte le persone nate in Italia, indipendentemente dalla cittadinanza dei genitori. Si tratta di un principio giuridico avanzato, in grado di dare piena attuazione al principio di uguaglianza tra le persone. Due bambini nati in Italia avrebbero così gli stessi diritti, a prescindere dalla nazionalità dei genitori. Questo principio contribuirebbe in modo significativo a superare le disuguaglianze che molti minori stranieri subiscono nell’accesso alla scuola, al sistema sanitario e al diritto alla mobilità. È adottato in Paesi con una consolidata tradizione migratoria, come Francia, Stati Uniti e Portogallo.
Lo ius scholae, invece, prevederebbe l’acquisizione della cittadinanza italiana da parte dei minori nati in Italia o arrivati entro i 12 anni, legalmente residenti e che abbiano frequentato regolarmente almeno cinque anni di percorso scolastico nel nostro Paese. Si tratta di un principio che collega l’accesso alla cittadinanza a un minimo livello di integrazione sociale, riconoscendo l’impegno del minore e della famiglia in un progetto educativo e di partecipazione alla vita della comunità.
Entrambe le soluzioni rappresenterebbero un’evoluzione significativa del nostro sistema giuridico, favorendo percorsi di integrazione più efficaci. È fondamentale, tuttavia, avviare un confronto sano sul tema dell’immigrazione, dell’accoglienza e della cittadinanza, libero da paure e condizionamenti politici, che spesso presentano le migrazioni come un problema, oscurandone gli aspetti umani, la loro inevitabilità e il ruolo cruciale nello sviluppo sociale ed economico.
Questo è ancora più vero in un contesto come quello italiano, segnato da invecchiamento della popolazione e crescenti disuguaglianze territoriali. Il calo demografico e l’aumento degli anziani pongono sfide rilevanti per il welfare e la coesione sociale. In tale scenario, le persone migranti costituiscono una risorsa preziosa per l’equilibrio complessivo del Paese. In molti Paesi europei, il rafforzamento del volontariato e delle politiche di cittadinanza è parte integrante delle strategie di sviluppo locale e innovazione sociale.
Le associazioni possono svolgere un ruolo chiave di mediazione tra istituzioni e cittadini, favorendo una comprensione più consapevole del fenomeno migratorio e contribuendo alla costruzione di politiche di integrazione moderne, radicate nei territori. È altrettanto urgente un dialogo strutturato con il legislatore, affinché le norme siano frutto di visioni condivise e lungimiranti, e non risposta a emergenze o conflitti ideologici.
di Maurizio D'Ago - Avvocato giuslavorista, dottore in Scienze Storiche
Cadere nel baratro del gioco d’azzardo è sempre più facile e il web facilita, e spesso promuove, questa dipendenza anche nelle fasce d’età più giovani che si ritrovano, inconsapevolmente, a passare dal gioco ludico a quello d’azzardo. Favorita dall’uso degli smartphone ormai anche in età preadolescienzale e quindi dall’accesso alle app, la dipendenza da gioco tocca ormai anche la fascia d’età che va dai 12 ai 14 anni. Le fragilità in età scolare aumentano e si moltiplicano le famiglie – decine ogni mese – che cercano aiuto.
Le strutture comunali collaborano con iniziative come giocatori anonimi, ma non possono inserire i minorenni segnalati ai Serd. In questo può inserirsi il terzo settore che, con realtà come Finetica Ets, che opera nel campo antiusura ma anche in quello del recupero della legalità attraverso il reimpiego di beni confiscati alla criminalità organizzata, è già avanti in termini di analisi e di prospettive. Dall’educazione finanziaria delle nuove generazioni si parte per la prevenzione, ma non è tutto. Sono già tante, troppe, le famiglie alle prese con minori vittime della dipendenza da gioco d’azzardo e per questo Finetica ha in mente un imponente progetto che potrebbe veder nascere la prima vera struttura di recupero per questa categoria di ragazzi, che spesso passano dalla ludopatia e dalla dipendenza dal gioco d’azzardo all’abuso di alcol e droga e alla violenza. Una spirale che stringe come un vortice e spesso sfocia nella commissione di reati.
Di recente il Ministero ha infatti affidato a Finetica due ville e sette ettari di terreni confiscati nei comuni di Postiglione e Alburni (in provincia di Salerno) e l’idea dell’Ets coordinata da Nello Tuorto è quella di realizzarvi il primo centro residenziale in Italia per minori vittime di ludopatia e dipendenze correlate (azzardo, alcol, droghe, violenza).
«Attualmente esistono solo centri diurni: – spiega Tuorto – e noi intendiamo offrire un percorso completo per il recupero, che includa il supporto alle famiglie disorientate che si ritrovano di fronte all’immensità di un problema del genere quando è già in fase avanzata, ovvero quando i ragazzi sono già costretti a rubare in casa per finanziare le giocate, per ripagare i debiti o, peggio, sono già finiti alla mercé di gruppi criminali. Per mettere in piedi un progetto del genere serve una vasta collaborazione con il coinvolgimento di esperienze e professionalità varie: per questo vorremmo aprire un dialogo con il Csv in modo da coinvolgere altre realtà nella progettazione e realizzazione del centro».
Come altre associazioni ed ets, Finetica aderisce al Movimento SlotMob, attivo dal 2013, che promuove esercizi commerciali che rinunciano all’azzardo, trasformando gli spazi in luoghi di socialità. Nelle settimane scorse, SlotMob ha tenuto una conferenza in Senato rilanciando tre richieste chiave: revisione delle concessioni, divieto totale di pubblicità (sul modello del tabacco), concessioni a enti no-profit. Il gioco in Italia è ormai una “gigantesca sperimentazione sociale” che colpisce i più fragili. Il professor Maurizio Fiasco, che ha relazionato durante la conferenza in Senato, ha mosso una critica alla contraddizione dello Stato italiano che, da un lato, cerca fondi (come l’8 per mille) per combattere le dipendenze, e dall’altro, trae crescenti introiti fiscali proprio da queste stesse dipendenze (gioco d’azzardo, alcol, tabacco, cibi ipercalorici).
«Si parla di una “addiction fiscale” dello Stato, – dalla sintesi della relazione di Fiasco – che si trova in una situazione di “doppio vincolo”: per mantenere il gettito fiscale, deve diffondere e cronicizzare la dipendenza tra i cittadini». I numeri purtroppo parlano da soli: tra il 2004 e il 2024 le giocate sono aumentate del 346 % i e i ricavi dello Stato hanno raggiunto 8,7 miliardi. Oltre 20 milioni di italiani hanno giocato almeno una volta, di cui 1,5 milioni classificati come “patologici”; la spesa media familiare supera i 5 000 euri annui. In Campania, in particolare, il fenomeno è significativamente acuto. Nel 2023 il totale giocato online pro-capite ha superato i 2 000 euro, con medie di 2 929 euro a Napoli, Salerno e Caserta. Sono numeri che si traducono in gravi conseguenze sociali, economiche e familiari: la Campania registra il maggior numero di pazienti in cura per disturbo da gioco d’azzardo ed è prima in Italia per spesa pro capite per le scommesse.
“Il Vesuvio brucia, nuovamente- scrive in una nota Mariateresa Imparato presidente Legambiente Campania-mentre arriva l’ennesimo bollettino di ondate di calore e probabili incendiari criminali continuano a colpire. In questo contesto di crisi climatica serve ancora più attenzione e prevenzione. Ora è il momento di mettere tutte le forze in campo per domare le fiamme ed evitare che il fuoco continui a distruggere un ecosistema così importante in termini ambientali, sociali e economici per il nostro territorio. Spente le fiamme sarà il tempo di conoscere le cause effettive, approfondire le responsabilità e rivedere le strategie per adottare un approccio integrato che integri prevenzione, rilevamento, monitoraggio e lotta attiva contro gli incendi. È cruciale rafforzare le attività investigative per individuare i diversi interessi che spingono ad appiccare il fuoco, anche in modo reiterato. L’analisi approfondita dei luoghi colpiti-conclude Imparato- e dei punti d’innesco accertati può costruire una mappa investigativa essenziale per risalire ai responsabili”.
Quando penso al lievito – da appassionata di cucina – lo immagino come un organismo vivo, delicato e capace di trasformare in profondità. Tuttavia, senza ingredienti di qualità, tempo e cura, anche il lievito più vigoroso fallisce: l’impasto diventa povero, indigesto o persino dannoso.
Questa metafora, semplice ma incisiva, racconta il tessuto sociale. Considerando i soggetti civici come “grani antichi” -custodi di biodiversità, tradizione e sapore autentico – e la cultura come lievito, si intuisce che costruire comunità sane, inclusive e rigenerative richiede un impasto curato: scelta attenta, dedizione costante e pazienza. Al contrario, se impieghiamo “grani moderni” impoveriti – esperienze distorte, rappresentazioni falsate, linguaggi tossici – otteniamo narrazioni sterili, incapaci di nutrire e rigenerare il nostro vivere collettivo.
In questo scenario, il ruolo dei media è cruciale. Non sono la cornice, ma una parte sostanziale del contenuto: modellano visioni del mondo, orientano l’immaginario collettivo, costruiscono ponti tra territori, generazioni, storie. Ecco perché la comunicazione sociale non può più essere relegata ai margini. È tempo di riconoscerla per ciò che è: una leva strategica per costruire consapevolezza, coesione e cambiamento culturale.
La comunicazione sociale dà voce ai volontari che animano i quartieri, agli operatori che si prendono cura degli ultimi, ai cittadini che costruiscono legami e inventano soluzioni. Racconta ciò che spesso resta invisibile: la forza trasformativa della cittadinanza attiva. Ma per farlo davvero, deve uscire dalla comfort zone. Deve sperimentare linguaggi nuovi, contaminarsi con l’arte, con il cinema, con le serie TV, con le piattaforme digitali. E deve trovare spazio anche nei palinsesti della televisione pubblica.
Esiste una distanza sempre più pericolosa tra ciò che accade nei territori e ciò che viene rappresentato nei media. Ma sappiamo, anche grazie a solide ricerche scientifiche, che dove si investe nel volontariato, si sviluppano capitale sociale, economia di prossimità, benessere condiviso. Il volontariato non è beneficenza: è infrastruttura democratica.
È motore di sviluppo. È rigenerazione, nel senso più concreto del termine. Dunque, serve un cambio di passo culturale. Riconoscere che tra istituzioni e cittadinanza attiva c’è interdipendenza. Che la rigenerazione nasce dal basso, ma ha bisogno di politiche pubbliche lungimiranti. Che la cultura, se nutrita di senso e pluralità, può davvero essere la leva del cambiamento.
In questo contesto, l’industria cinemato- grafica riveste un’importanza cruciale: non è solo intrattenimento, ma genera immaginario, stimola empatia e svolge un ruolo di pedagogia sociale. Dal 2020, negli Stati Uniti le piattaforme di streaming hanno introdotto clausole contrattuali vincolanti che impongono soglie minime di rappresentazione etnica e di genere in ogni nuova serie TV. Queste serie hanno influenzato profondamente i giovani, spingendoli ad affrontare con spontaneità temi come bisessualità, fluidità di genere e diversità razziale. Perché, allora, non proporre anche in Italia un’iniziativa altrettanto ambiziosa?
Ogni racconto sulle mafie – e in particolare sulla camorra – dovrebbe dare voce anche a chi resiste: a chi, lontano dai riflettori, combatte il degrado tessendo legami quotidiani; a chi trasforma una piazza abbandonata in un presidio educativo; a chi cura, protegge e semina speranza, dando forma a un futuro possibile.
La Caritas di Napoli continua a essere un punto di riferimento fondamentale per le persone in difficoltà nella città. Con un impegno quotidiano e instancabile, si dedica a offrire supporto, assistenza e speranza a chi si trova in situazioni di vulnerabilità.
Le attività della Caritas napoletana sono molteplici e spaziano dall’assistenza alimentare alla distribuzione di vestiti, passando per servizi di ascolto e supporto psicologico. In particolare, i centri di ascolto e le mense sociali rappresentano un punto di riferimento per molte famiglie e individui che vivono in condizioni di povertà o emarginazione.
In un contesto difficile come quello napoletano, segnato da sfide sociali ed economiche, la Caritas si distingue per il suo spirito di solidarietà e il suo operato concreto. La speranza è che, grazie all’impegno di tutti, si possa continuare a costruire una città più giusta e solidale, dove nessuno sia lasciato indietro.
Anche nel periodo estivo le attività proseguono, di seguito l’elenco delle mense aperte nel mese di agosto:
Mensa del Carmine P. Elia Alleva
Piazza del Carmine, 2 – Napoli
Fino a 500 cestini tutti i giorni dalle 12:45
Mensa “Centro La Tenda”
Via Sanità, 95-96 – Napoli
Aperta tutti i giorni a pranzo e cena, circa 200 pasti tra cestini e pasti alle 12:00 e alle 20:30
Mensa S. Brigida
Via S. Brigida, 72 – Napoli
Aperta a pranzo il martedì e venerdì, circa 70 pasti alle 12:00
Mensa S. Gennaro al Vomero
Via Bernini, 55 – Napoli
Giovedì dalle 8:30 alle 12:00, con colazione, cestino, pranzo e docce
Mensa Casa della Carità
Via Vittorio Emanuele – Arzano
Tutti i giorni con 20 pasti a pranzo
Mensa S. Antonio di Padova
Via Nazionale, 90 – Torre del Greco
Tutti i giorni circa 40 pasti alle 11:30
Mensa S. Maria del Buon Consiglio
Via del Santuario, 4 – Torre del Greco
Aperta a pranzo circa 70 pasti alle 11:45
Mensa S. Vincenzo de’ Paoli
Via S. Sofia, 29/30 – Torre Virtus a Porta Capuana
Dal 1 al 12 agosto con 50 cestini a pranzo
Mensa Parrocchia Immacolata Concezione
C.so V. Emanuele III, 242 – Torre Annunziata
Tutti i giorni a pranzo
Mensa P. Arturo a Gianturco
Via E. Gianturco, 97
Aperta dal 1 all’8 e dal 24 al 31 agosto, alle 12:00