Riqualificazione energetica, in arrivo 100 milioni di euro al Terzo settore

Riproponiamo l’articolo di Chiara Borghisani per Cantiere Terzo Settore relativo ai benefici per le organizzazioni di volontariato, associazioni di promozione sociale e Onlus previsti nella conversione in legge del Superbonus

La Legge n. 67/2024 ha recentemente convertito, con modificazioni, il decreto legge n. 39 del 29 marzo 2024, contenente una serie di misure urgenti in materia di “superbonus 110”, e che coinvolgono anche le organizzazioni non profit. Il tema è stato trattato nell’articolo “Superbonus 110%, le ultime indicazioni per il Terzo settore”.

Di seguito una disamina delle novità disposte, anticipate da une breve sintesi di quelle che sono le caratteristiche fondamentali dell’agevolazione.

Si ricorda che la misura è stata introdotta con il decreto legge 34 del 2020 (cosiddetto “Rilancio”).

Le disposizioni in tema di superbonus

Il complesso quadro normativo regolante l’agevolazione per specifici interventi in ambito di efficienza energetica, di interventi antisismici, di installazione di impianti fotovoltaici o delle infrastrutture per la ricarica di veicoli elettrici negli edifici ha subìto negli anni diversi interventi legislativi tesi a limitare la fruizione dello stesso; da ultimo, è stata prevista una progressiva riduzione dell’aliquota per le annualità successive al 2023, introducendo una deroga alla riduzione progressiva dell’aliquota per Odv, Aps ed Onlus (art.2, comma 2, Legge 38/2023) che possono continuare a godere dell’aliquota del 110%.

I requisiti per continuare a beneficiare dell’aliquota piena sono riferiti sia al soggetto che all’oggetto dell’intervento.

Per quanto riguarda i requisiti soggettivi, il soggetto fruitore:

  • deve essere un’organizzazione di volontariato (Odv) o un’associazione di promozione sociale (Aps) iscritte nei relativi registri, oppure un’organizzazione non lucrativa di utilità sociale iscritta in anagrafe unica delle Onlus;
  • deve svolgere una attività riconducibile tra servizi socio-sanitari e assistenziali;
  • non deve attribuire alcun compenso o indennità di carica ai membri del Consiglio di amministrazione.

Per quanto riguarda invece il requisito oggettivo, l’immobile oggetto di intervento deve essere qualificato come immobile di categoria B/1, oppure B/2 o D/4 posseduto a titolo di proprietà o di altro diritto reale di godimento (nuda proprietà, usufrutto) o un contratto ad effetti obbligatori (comodato gratuito) aventi data certa anteriore al 1° giugno 2021.

Il limite di spesa è determinato moltiplicando il limite unitario, previsto per le singole unità immobiliari, per il rapporto tra la superficie complessiva dell’immobile oggetto degli interventi e ammessi alla detrazione e la superficie media di una unità abitativa immobiliare, come ricavabile dal Rapporto immobiliare pubblicato dall’Osservatorio del mercato immobiliare (Omi).

Le spese oggetto di detrazione devono essere effettuate entro il 31 dicembre 2025.

L’Agenzia delle Entrate ha fornito numerosi chiarimenti in ordine all’applicazione dell’agevolazione per gli enti del Terzo settore sopra citati con le circolari n.3 dell’8 febbraio 2023 e n.13 del 13 giugno 2023; infine, con la risposta n.2 dell’8 gennaio 2024 è intervenuta ulteriormente per chiarire in modo dettagliato le modalità di applicazione del superbonus riferito alle tipologie di soggetti e di unità immobiliari agevolabili.

Le novità introdotte

A fronte di un quadro normativo chiaro e definito sia da atti normativi che da documenti di prassi, il recente intervento legislativo ha dato “un giro di vite” alle agevolazioni oggetto del presente contributo. In particolare, è stata eliminata la possibilità di ricorrere alle opzioni per lo sconto in fattura o la cessione del credito per interventi edilizi per Odv, Aps ed Onlus a meno che non siano presenti gli ulteriori requisiti sotto riportati.

Si è stabilito che, per poter cedere il credito o applicare lo sconto in fattura, relativamente ai soggetti sopra citati, è necessaria la sussistenza in data antecedente al 30 marzo 2024 delle seguenti ulteriori condizioni:

  1. sia stata presentata la comunicazione di inizio lavori asseverata (Cila), se gli interventi sono agevolati e sono diversi da quelli effettuati dai condomini;
  2. sia stata adottata la delibera assembleare che ha approvato l’esecuzione dei lavori e risulti presentata la comunicazione di inizio lavori asseverata (Cila), se gli interventi sono agevolati e sono effettuati dai condomini;
  3. sia stata presentata l’istanza per l’acquisizione del titolo abilitativo, se gli interventi sono agevolati e comportano la demolizione e la ricostruzione degli edifici;
  4. sia stata presentata la richiesta del titolo abilitativo, ove necessario, se gli interventi sono diversi da quelli agevolati;
  5. siano già iniziati i lavori oppure, nel caso in cui i lavori non siano ancora iniziati, sia stato stipulato un accordo vincolante tra le parti per la fornitura dei beni e dei servizi oggetto dei lavori e sia stato versato un acconto sul prezzo, se gli interventi sono diversi da quelli agevolati e per i medesimi non è prevista la presentazione di un titolo abilitativo.

È stata confermata quindi la regola per cui devono sussistere contemporaneamente sia il requisito di aver presentato la Cila nonché la stipula, con data certa, dell’accordo scritto e il versamento dell’acconto.

È stata inoltre concessa la facoltà per i soggetti cessionari di ripartire i crediti di imposta rispettivamente per 4 anni (superbonus) e 5 anni (eliminazione barriere architettoniche), ed è stato previsto che in tutti i casi in cui vi sia una fruizione diretta delle detrazioni fiscali accordate la detrazione dovrà essere ripartita in 10 anni in luogo dei precedenti 5.

Ulteriore novità recata è l’istituzione, per l’anno 2025 di un fondo di 100 milioni di euro finalizzato a riconoscere ad Odv, Aps ed Onlus un contributo per le spese sostenute per interventi di riqualificazione energetica a strutturale. Tale fondo non è cumulabile con i benefici connessi con la normativa in tema di superbonus.

© Foto in copertina di Vanni Monelli, progetto FIAF-CSVnet “Tanti per tutti. Viaggio nel volontariato italiano”

CSVnet e Slow Food Italia insieme per un sistema alimentare più equo

Supportare l’azione sui territori di chi è impegnato a promuovere il diritto a un cibo buono, pulito e giusto per tutte e tutti. È questo il cuore del recente accordo siglato tra CSVnet, l’associazione che riunisce i 49 Centri di servizio per il volontariato (Csv) e Slow Food Italia Aps, l’organizzazione costituita da oltre 260 associazioni che operano su tutto il territorio nazionale con l’obiettivo di dare il giusto valore al cibo, praticando e diffondendo il rispetto verso chi lo produce in armonia con ambiente ed ecosistemi, grazie ai saperi di cui sono custodi territori e tradizioni locali.

Una parte importante della collaborazione riguarda infatti la promozione di accordi specifici fra i Csv e le diramazioni territoriali di Slow Food, al fine di realizzare iniziative di formazione per i volontari e lo sviluppo di strumenti che consentano le organizzazioni locali, anche quelle più piccole o meno strutturate, di sviluppare e gestire progetti che abbiano un forte impatto sociale.
Un altro obiettivo ambizioso è quello di mettere in rete le diverse realtà per favorire un dialogo concreto con le istituzioni al fine di concorrere alla definizione di politiche alimentari più eque e sostenibili.

“Con questa partnership intendiamo potenziare il ruolo di volontarie e volontari nel promuovere un sistema alimentare più giusto e rispettoso dell’ambiente, contribuendo così al benessere delle comunità locali e nazionali” afferma Chiara Tommasini presidente di CSVnet.

“Contare sul supporto dei Csv per le associazioni territoriali di Slow Food Italia vuol dire rafforzare il ruolo dei volontari nella costruzione di dialogo e della rete tra i cittadini, gli agricoltori, allevatori e pescatori, i cuochi, che con il loro ruolo educativo ci aiutano a scegliere e trasformare i prodotti” aggiunge Barbara Nappini, presidente di Slow Food Italia.

Tra le azioni previste dall’accordo, che avrà durata triennale, la definizione di interventi che favoriscano il ricambio generazionale tra i volontari e l’istituzione di una cabina di regia per analizzare i bisogni delle organizzazioni territoriali.

Per saperne di più csvnet.it

Escluse le Onlus dalla devoluzione del patrimonio degli enti del Terzo settore

Riproponiamo l’articolo di Daniele Erler per Cantiere Terzo Settore relativo al chiarimento del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali in risposta a un quesito sottoposto dal Sottogruppo Terzo settore della Commissione politiche sociali della Conferenza delle regioni e province autonome

Con la nota n. 6710 del 30 aprile 2024 il Dipartimento per le politiche sociali, del Terzo settore e migratorie del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali ha stabilito l’impossibilità per un ente del Terzo settore (Ets) di destinare il proprio patrimonio residuo ad una Onlus.

Il quesito

Il quesito, sottoposto al Ministero da parte del Sottogruppo Terzo settore della Commissione politiche sociali della Conferenza delle regioni e province autonome, aveva ad oggetto per l’appunto la possibilità per una Onlus (iscritta alla relativa Anagrafe unica) di risultare beneficiaria della devoluzione patrimoniale di un Ets.

Il codice del Terzo settore prevede che un ente del Terzo settore sia tenuto a devolvere il proprio patrimonio in caso di estinzione o scioglimento, così come in caso di cancellazione dal registro unico nazionale del Terzo settore (Runts) qualora abbia intenzione di continuare ad operare ai sensi del codice civile: in quest’ultimo caso la devoluzione è limitata all’incremento patrimoniale realizzato negli esercizi in cui l’ente è stato iscritto al Runts. Lo stesso codice prevede inoltre che tale patrimonio sia devoluto, previo parere positivo dell’Ufficio del Runts competente e salva diversa destinazione imposta dalla legge, ad altri Ets secondo le disposizioni statutarie o dell’organo sociale competente o, in mancanza, alla Fondazione Italia Sociale (art. 9).

Il vincolo appena descritto ha come finalità quella di vincolare il patrimonio dell’ente che si è estinto o che ha perso la qualifica di Ets, e di farlo rimanere all’interno del “circuito” degli enti del Terzo settore, i quali godono di un regime (fiscale e contributivo) di vantaggio perché perseguono finalità di tipo civico, solidaristico e di utilità sociale tramite lo svolgimento di attività di interesse generale. L’importanza di tale previsione si comprende anche dal fatto che essa deve essere prevista obbligatoriamente negli statuti degli Ets.

Con il quesito si richiede appunto se, oltre agli Ets iscritti al Runts, anche le Onlus possano essere destinatarie del patrimonio residuo, in quanto considerate anch’esse dallo stesso codice del Terzo settore (art. 101, commi 2 e 3) come enti del Terzo settore in via transitoria.

Si ricorda che la disciplina delle Onlus (nello specifico il decreto legislativo 460 del 1997) è tuttora vigente, e sarà abrogata solo a partire dal periodo d’imposta successivo all’autorizzazione della Commissione europea in merito alle disposizioni di carattere fiscale di cui al titolo X del codice del Terzo settore. A partire dallo stesso momento l’Anagrafe unica delle Onlus sarà soppressa.

Oltre a ciò, è opportuno ricordare come lo stesso decreto legislativo 460 del 1997 preveda (art. 10) per le Onlus l’obbligo di devolvere il patrimonio dell’organizzazione, in caso di suo scioglimento per qualunque causa, ad altre Onlus o a fini di pubblica utilità, anche qui sotto il controllo di una pubblica amministrazione (rappresentata sempre dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali).

La risposta del Ministero

Nonostante le due normative richiamate (il codice del Terzo settore e il decreto legislativo 460 del 1997) presentino indubbiamente dei profili in comune circa la devoluzione del patrimonio, e nonostante l’art. 101 del codice consideri le Onlus come Ets in via transitoria, secondo il Ministero tali elementi non sono rilevanti per la risoluzione del caso in esame, il quale deve essere letto su presupposti diversi.

Il ragionamento del Ministero si incentra sulla differente natura delle due qualifiche di Ets e di Onlus, la prima di tipo civilistico, la seconda di carattere prettamente fiscale. Tale distinzione ha dei riflessi fondamentali anche in relazione alla disciplina dell’obbligo di devoluzione del patrimonio, che per gli enti del Terzo settore si caratterizza per un regime tutorio di natura civilistica rafforzato dalla previsione della nullità (per contrarietà a norma imperativa, ai sensi dell’art. 1418, comma 1 del codice civile) degli atti di devoluzione del patrimonio residuo compiuti in assenza o in difformità del parere obbligatorio del competente ufficio del Runts.

Una simile previsione non vi è invece per le Onlus, e questo costituisce l’elemento determinante su cui fa perno la nota ministeriale. Qualora, infatti, un Ets devolvesse il proprio patrimonio residuo ad una Onlus, si potrebbe verificare la situazione in cui essa sia chiamata a propria volta a disporre del patrimonio residuo, senza però aver conseguito nel frattempo l’iscrizione al Runts. Ci si troverebbe, di fatto, nella situazione in cui tale patrimonio, che si è formato anche grazie al regime agevolativo concesso dalla normativa del Terzo settore, risulterebbe sprovvisto della tutela rafforzata costituita dalla sanzione della nullità dell’atto devolutivo.

La mancanza di una simile garanzia conduce il Ministero, sentita anche l’Agenzia delle entrate, a ritenere che un Ets possa devolvere il proprio patrimonio solo nei confronti di altri Ets, iscritti nel Runts (e come tali accomunati da un pieno assoggettamento alla disciplina codicistica in tutte le sue parti), e non anche ad Onlus iscritte ad oggi alla relativa Anagrafe unica.

 © Foto in copertina di Mario Orlandiprogetto FIAF-CSVnet “Tanti per tutti. Viaggio nel volontariato italiano”

Entro il 1° luglio 2024 la pubblicazione dei contributi al non profit

Riproponiamo l’articolo di Daniele Erler per Cantiere Terzo Settore relativo all’obbligo annuale di pubblicazione dei contributi a non profit

Il 30 giugno scade un termine importante per quanto riguarda molti enti non profit, relativo all’obbligo di pubblicazione dei contributi pubblici ricevuti nell’esercizio precedente, qualora questi siano pari o superiori a 10.000 euro. Il termine quest’anno slitta al 1° luglio considerando che il 30 giugno è domenica.

Ecco in cosa consista tale adempimento e quali siano i soggetti a cui si applica.

I soggetti interessati: associazioni, fondazioni e Onlus

La normativa di riferimento è rappresentata dalla legge 4 agosto 2017, n. 124, in particolare i commi da 125 a 129, modificata nella formulazione attuale dal decreto legge 30 aprile 2019, n. 34 (“Decreto Crescita”), che ha disposto in modo permanente alcuni obblighi di trasparenza riguardanti i contributi pubblici ricevuti (anche) dagli enti non profit.

Importanti chiarimenti sul tema sono poi stati forniti dalle circolari del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, n. 2 dell’11 gennaio 2019 e n. 6 del 25 giugno 2021nonostante tali documenti si riferiscano in particolare agli enti del Terzo settore (Ets), le indicazioni in essi contenute possono ragionevolmente estendersi anche agli altri soggetti tenuti al rispetto delle disposizioni menzionate.

L’obbligo in questione si applica in primo luogo alle associazioni, alle fondazioni e alle Onlus che hanno ricevuto sovvenzioni, sussidi, vantaggi, contributi o aiuti, in denaro o in natura, non aventi carattere generale e privi di natura corrispettiva, retributiva o risarcitoria, pari o superiori a 10.000 euro, da parte:

  • delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, c. 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165;
  • dei soggetti di cui all’art. 2-bis del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33. Fra essi rientrano anche le società in controllo pubblico, così come le associazioni, le fondazioni ed in generale gli enti di diritto privato con bilancio superiore a 500.000 euro di entrate annuali, la cui attività sia stata finanziata in modo maggioritario per almeno due esercizi finanziari consecutivi nell’ultimo triennio da pubbliche amministrazioni e in cui la totalità dei componenti dell’organo d’amministrazione o di indirizzo sia designata da pubbliche amministrazioni.

Sono inoltre soggette all’obbligo di rendicontazione anche le associazioni di protezione ambientale e le associazioni dei consumatori e degli utenti rappresentative a livello nazionale (che in realtà già vi rientravano in quanto appunto “associazioni”), e le cooperative sociali che svolgono attività a favore degli stranieri di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.

Nonostante il codice del Terzo settore disponga già per gli enti del Terzo settore (Ets) importanti obblighi in tema di trasparenza, la normativa in esame si applica anche ad essi.

L’obbligo in questione si applica, come detto, anche alle Onlus: è bene infatti ricordare che la normativa Onlus è stata sì soppressa dal codice del Terzo settore, ma tale abrogazione diventerà effettiva solo a partire dal periodo di imposta successivo all’autorizzazione europea in merito al nuovo regime fiscale degli Ets.

I soggetti interessati: le società

La legge 124/2017 distingue i soggetti menzionati nel paragrafo precedente da quelli che esercitano attività d’impresa, ai sensi dell’art. 2195 del codice civile, disponendo per essi modalità di pubblicazione parzialmente diverse rispetto a quelle previste per associazioni, fondazioni e Onlus, di cui si dirà a breve.

Fra tali soggetti rientrano sicuramente le società di cui al Libro V del Codice civile, oltre che le imprese sociali costituite in forma societaria.

Il discorso si fa più problematico per le cooperative sociali, che sono sia “società” che “onlus” (di diritto): la circolare ministeriale n. 2 dell’11 gennaio 2019 ha stabilito la prevalenza del profilo legato alla forma giuridica, e quindi le cooperative sociali (tranne quelle che svolgono attività a favore degli stranieri) sono tenute ad adempiere all’obbligo di pubblicazione nelle stesse forme previste per le società. Applicando tale ragionamento alle imprese sociali, si ricava che quelle costituite in forma di associazione o fondazione sono chiamate a rispettare le regole di pubblicazione previste per tali forme giuridiche.

Il contenuto dell’obbligo e il termine per la pubblicazione

L’obbligo scatta solo nel momento in cui gli enti menzionati (associazioni, fondazioni e Onlus da un lato, società dall’altro) abbiano ricevuto contributi pubblici per una cifra pari o superiore a 10.000 euro: il riferimento è l’esercizio finanziario precedente cioè, per gli enti che hanno l’esercizio sociale coincidente con l’anno solare, il periodo che va dal 1° gennaio al 31 dicembre 2023.

È importante sottolineare come non tutte le risorse provenienti dalle pubbliche amministrazioni rientrano nel plafond dei 10.000 euro, ma solamente quelle relative a “sovvenzioni, sussidi, vantaggi, contributi o aiuti, in denaro o in natura, non aventi carattere generale e privi di natura corrispettiva, retributiva o risarcitoria”.

Ciò significa che eventuali apporti economici di natura corrispettiva (commerciale) con gli enti pubblici non rientrano nel computo dei 10.000 euro, così come quelli dovuti dalla pubblica amministrazione a titolo di risarcimento; vi rientrano invece i contributi concessi dall’ente pubblico a titolo di liberalità oppure dietro presentazione di uno specifico progetto da parte dell’associazione.

I contributi possono essere non solo in denaro ma anche “in natura”. La circolare n. 2 dell’11 gennaio 2019 ha precisato che si intendono quindi ricomprese anche le risorse strumentali, quali ad esempio un bene mobile o immobile concesso in comodato dalla pubblica amministrazione: in tal caso si dovrà chiedere alla stessa di comunicare il valore del bene, il quale dovrà essere indicato nel rendiconto. Qualora non fosse possibile individuare una cifra precisa, è consigliabile fare riferimento a quello che è il valore di un bene simile o analogo sul mercato.

Alcune specifiche attribuzioni economiche: il 5 per mille

La novità più importante recata dalla circolare ministeriale n. 6 del 25 giugno 2021 riguarda le somme ricevute a titolo di 5 per mille, le quali non sono da considerare nei contributi pubblici disciplinati dalla Legge 124 del 2017 e non vanno quindi conteggiate nel “plafond” dei 10.000 euro.

Il Ministero ha di fatto superato quanto in precedenza detto con la circolare n. 2 dell’11 gennaio 2019, e lo ha fatto sulla base di un mutato quadro normativo disposto per effetto del Decreto “Crescita”. Il nuovo testo esclude infatti dalla rendicontazione i contributi che hanno “carattere generale”: secondo la circolare ministeriale, “per carattere generale si devono intendere i vantaggi ricevuti dal beneficiario sulla base di un regime generale, in virtù del quale il contributo viene erogato a tutti i soggetti che soddisfano determinate condizioni”. In tale definizione è incluso il 5 per mille, le cui somme sono peraltro già soggette a specifici obblighi di pubblicità secondo quanto disposto dal Dpcm 23 luglio 2020 (per un maggiore approfondimento sulle nuove regole del 5 per mille, si rimanda al Vademecum sul tema).

Ulteriori precisazioni sul limite dei 10.000 euro

Ai fini della pubblicazione occorre tener conto dei contributi “effettivamente erogati”: ciò significa che vanno conteggiate solo le somme che l’ente ha effettivamente incassato nel corso dell’esercizio finanziario precedente e non quelle che sono state solamente stanziate dall’ente pubblico ma non ancora incassate dall’organizzazione.

La circolare ministeriale n. 2 dell’11 gennaio 2019 ha inoltre chiarito che il limite dei 10.000 euro deve essere inteso in senso cumulativo, riferendosi al totale degli apporti pubblici ricevuti e non alla singola erogazione: esemplificando, se l’ente ha ricevuto durante l’anno contributi su due distinte progettualità da 9.000 euro ciascuna (da due differenti enti pubblici), il limite dei 10.000 euro è superato e scatta quindi l’obbligo di pubblicazione di tali somme.

Le informazioni da pubblicare

La circolare ministeriale n. 2 dell’11 gennaio 2019 ha specificato che le informazioni devono essere pubblicate in modo schematico e comprensibile per il pubblico, individuando come necessarie le seguenti voci:

  1. denominazione e codice fiscale del soggetto ricevente (l’associazione);
  2. denominazione del soggetto erogante (la pubblica amministrazione);
  3. somma incassata (per ogni singolo rapporto giuridico);
  4. data di incasso;
  5. causale (cioè la descrizione relativa al motivo per cui tali somme sono state erogate: ad esempio, come “liberalità” oppure come “contributo in relazione ad un progetto specifico presentato dall’ente”).

Un fac-simile di rendiconto dei contributi pubblici può essere scaricato qui.

Le cooperative sociali che svolgono attività a favore degli stranieri di cui al Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 devono inoltre pubblicare trimestralmente nei propri siti internet o portali digitali l’elenco dei soggetti a cui sono versate somme per lo svolgimento di servizi finalizzati ad attività di integrazione, assistenza e protezione sociale: peraltro, sulla ragionevolezza, e quindi sulla costituzionalità, di una simile previsione, si potrebbero avanzare diversi dubbi.

Le modalità e i termini di pubblicazione

Le associazioni, le fondazioni e le Onlus (oltre alle cooperative sociali che svolgono attività a favore degli stranieridevono pubblicare, entro il 1° luglio 2024 (la scadenza è fissata al 30 giugno 2024 ma quest’anno è domenica), i contributi ricevuti sul proprio sito internet oppure su “analogo portale digitale”. La circolare ministeriale n. 2 dell’11 gennaio 2019 ha ammesso, per le organizzazioni che non hanno il sito internet, la possibilità di utilizzare la pagina facebook dell’ente. Sempre secondo la circolare, qualora l’organizzazione non avesse nemmeno la pagina Facebook, l’obbligo può comunque essere adempiuto pubblicando i contributi sul sito internet della rete associativa alla quale l’ente aderisce.

Le società (comprese le cooperative sociali e le imprese sociali costituite in forma societaria) sono invece tenute a pubblicare le stesse informazioni nella nota integrativa del bilancio di esercizio e dell’eventuale bilancio consolidato. Il termine è quello ordinario previsto per l’approvazione del bilancio. I soggetti che redigono il bilancio in forma abbreviata e quelli comunque non tenuti alla redazione della nota integrativa assolvono all’obbligo pubblicando le informazioni, entro il 30 giugno 2024, sul proprio sito internet, secondo modalità liberamente accessibili al pubblico o, in mancanza, sui portali digitali delle associazioni di categoria di appartenenza.

Nonostante la normativa non stabilisca nulla riguardo a quanto debbano essere mantenuti sul sito i diversi rendiconti, si consiglia di lasciare pubblicati anche i rendiconti precedenti, posizionandoli all’interno di una sezione specifica ed in evidenza.

Le sanzioni previste

Il controllo sull’adempimento dell’obbligo di pubblicazione dei contributi pubblici è in capo ai soggetti erogatori oppure all’amministrazione vigilante o competente per materia.

Come conseguenza dell’inosservanza dell’obbligo di pubblicazione è prevista, sia per associazioni/fondazioni/Onlus che per le società, in prima battuta una sanzione economica pari all’1% degli importi ricevuti, con un importo minimo di 2.000 euro, oltre alla sanzione accessoria dell’obbligo di pubblicazione. Se da tale contestazione passano 90 giorni e l’organizzazione non provvede alla pubblicazione e al pagamento della sanzione, si avrà l’ulteriore sanzione della restituzione integrale delle somme ricevute.

 © Foto in copertina di Lucia Montagnaprogetto FIAF-CSVnet “Tanti per tutti. Viaggio nel volontariato italiano”

Raccolta fondi: al via la nuova indagine IID sulla propensione al dono in Italia

L’Istituto Italiano della Donazione ha lanciato la XXII edizione dell’indagine sull’andamento delle Raccolte Fondi: le Organizzazioni Non Profit sono invitate a partecipare entro il 22 luglio 2024 compilando il questionario che IID propone per indagare l’attuale andamento delle raccolte fondi.

La XXII edizione dell’Indagine IID sull’andamento della Raccolta fondi è inserita nel progetto più ampio dell’Osservatorio sul Dono (qui il Report 2023) che, in occasione del Giorno del Dono di ogni anno, si pone l’obiettivo di tracciare le tendenze sulla propensione al dono degli italiani.

Contribuiranno al Report 2024 dell’Osservatorio sul dono anche ASSIF, BVA Doxa, Caritas Italiana, Fidas, Istat, Osservatorio di Pavia, Scuola di Fundraising di Roma, WaldenLab. Enti patrocinanti: Centro Nazionale Sangue, Centro Nazionale Trapianti, CMW e Euconsult Italia.

Dalle risposte al questionario verrà elaborata la consueta ricerca che da oltre 10 anni restituisce al non profit stesso tutte le tendenze rispetto alle dinamiche delle raccolte fondi.

I dati trattati dal questionario, la cui compilazione richiede non più di 10 minuti, verranno analizzati in forma aggregata ed anonima nel rispetto del GDPR, Regolamento Generale sulla protezione dei dati 2016/679. I risultati del questionario saranno resi noti il prima possibile e inviati a tutti coloro che avranno partecipato.

COMPILA IL QUESTIONARIO CLICCANDO QUI

Per tutti gli aggiornamenti via social: #OsservatorioDono.

L’Istituto Italiano della Donazione invita tutti gli enti non profit interessati e che parteciperanno al questionario ad iscriversi anche al Giorno del Dono sulla piattaforma dedicata.

Iva e Terzo settore: come scegliere tra il regime forfettario e quello della 398

Riproponiamo l’articolo di CHIARA BORGHISANI per Cantiere Terzo Settore relativo al regime fiscale per gli Enti di Terzo settore

Come illustrato nel precedente contributo, “Iva e Terzo settore, cosa cambia dal 1° gennaio 2025”, il decreto legge n. 146 del 2021 ha introdotto una serie di fondamentali modifiche all’art. 4 del  “Decreto Iva” (Dpr n. 633 del 1972), riscrivendone integralmente il testo e prevedendo che le disposizioni contenute nel documento vadano ricomprese nel novero delle prestazioni oggettivamente in Iva, alcune nel regime di esenzione (art. 10 Dpr n. 633 del 1972) mentre altre confluite direttamente nel regime di imponibilità. Per avere il quadro di come sono cambiate le disposizioni di cui agli articoli 4 e 10 del Decreto Iva è possibile consultare la tabella a questo link.

Tali disposizioni avrebbero dovuto entrare in vigore, inizialmente, il 1° gennaio 2022, poi prorogate al 1° gennaio 2024, e successivamente, con un susseguirsi di disposizioni di proroga, al 1° gennaio 2025.

Lo stesso decreto legge n. 146 del 2021 ha inoltre previsto una novità importante per le organizzazioni di volontariato (Odv) e le associazioni di promozione sociale (Aps), introducendo la possibilità di utilizzare il regime forfettario dei contribuenti minimi (art. 5 comma 15-quinquies del decreto legge n. 146 del 2021) per le operazioni rilevanti ai fini Iva svolte da queste due tipologie di enti.

Tale previsione è entrata in vigore 1° gennaio 2024 ed è quindi ad oggi operativa.

Questo regime si affianca a quello attualmente ancora previsto dalla Legge n. 398 del 1991: ecco un approfondimento che mette a confronto i due sistemi, per poter scegliere consapevolmente.

La possibilità per Odv e Aps di utilizzare il regime forfettario dei contribuenti minimi

Per le Odv e le Aps è stata quindi prevista la possibilità (non l’obbligo) di adottare il regime forfettario dei contribuenti minimi (di cui all’art. 1, commi da 58 a 63, della legge n. 190 del 2014) quale regime forfettario “ponte”, in attesa dell’entrata in vigore delle disposizioni fiscali recate dal Titolo X del codice del Terzo settoreper gestire quelle attività che dal regime di esclusione passeranno al regime di imponibilità (ci riferiamo, ad esempio, alle prestazioni di servizi in bar ed esercizi similari rese da Aps).

La condizione per accedere a detto regime, che opera ai soli fini dell’imposta sul valore aggiunto, è che i ricavi, ragguagliati per anno solare, non superino il tetto dei 65.000 euro.

Praticamente il regime forfettario, mutuato da quanto previsto per le persone fisiche, consente alle Odv e alle Aps di non applicare l’Iva sulle operazioni attive poste in essere e, allo stesso tempo, non consente la detrazione dell’Iva sugli acquisti.

La disposizione si affianca a quanto previsto, sempre in tema di regimi forfettari, dalla legge n. 398 del 1991.

Il regime 398 non sarà più applicabile dagli Ets iscritti al registro unico nazionale del Terzo settore (Runts) a partire dall’entrata in vigore del Titolo X del codice del Terzo settore, vale a dire dal 1° gennaio dell’esercizio successivo al parere che sarà reso dalla Commissione europea. Pertanto, a oggi e sino al termine appena citato, è ancora applicabile tale disposizione che da sempre ha rappresentato la scelta “per eccellenza” per gestire le attività commerciali da parte non solo di Odv e Aps, ma anche da associazioni e società sportive dilettantistiche, associazioni senza scopo di lucro, proloco, cori bande e filodrammatiche, platea ben più ampia di quella prevista dall’art. 5, comma 15-quinquies, riservato, come detto, ad Odv e Aps.

Analogie e differenze tra regime 398 e regime dei contribuenti minimi

In un confronto tra il regime dei contribuenti minimi e il regime 398, “l’appeal” di quest’ultimo è sicuramente maggiore.

Vediamo quali sono le principali analogie e differenze, fermo restando che, come già indicato, la norma relativa ai contribuenti minimi vale ai soli fini Iva mentre il regime 398 opera anche a livello reddituale.

Il primo elemento di rilievo è il tetto di ricavi per poter accedere al regime forfettario: 65.000 euro per il regime dei contribuenti minimi, 400.000 euro per il regime 398.

Ulteriore elemento di diversificazione è legato ai ricavi delle attività esercitate: per il regime 398 devono essere attività commerciali connesse con gli scopi istituzionali, mentre nell’articolato del decreto legge n. 146 del 2021 non è prevista alcuna specifica in ordine alle attività commerciali esercitabili.

Ulteriore profilo, non di poco conto, di differenziazione è legato all’imposta sul valore aggiunto: non applicabile (fuori campo Iva) nel caso del regime dei contribuenti minimi mentre pienamente applicabile, con aliquota in funzione del tipo di prestazione/cessione, nel caso del regime 398. In questo ultimo regime l’imposta applicata è poi versata in misura forfettaria:

  • versamento del 50% dell’Iva a debito nella generalità dei casi;
  • versamento dei 2/3 dell’Iva a debito per le operazioni di cessione o concessione di diritti di ripresa televisiva o trasmissione radiofonica.

Il versamento dell’Iva (sul quale non sono dovuti gli interessi trimestrali) nel regime 398 va fatto entro il 16 del secondo mese successivo al trimestre di riferimento, e nello specifico:

  • entro il 16 maggio per il 1° trimestre (gennaio-febbraio-marzo);
  • entro il 16 agosto per il 2° trimestre (aprile-maggio-giugno);
  • entro il 16 novembre per il 3° trimestre (luglio-agosto-settembre);
  • entro il 16 febbraio per il 4° trimestre (ottobre-novembre-dicembre).

Da sottolineare che la percentuale di Iva non versata rimane nelle disponibilità finanziarie dell’ente e non concorre a formare imponibile ai fini reddituali. Per entrambi i regimi l’Iva sugli acquisti non può essere detratta e rimane un costo a carico dell’ente quale consumatore finale.

Sotto un profilo reddituale, il regime 398 contiene una forfettizzazione per la determinazione dell’imponibile fiscale pari al 3% dei ricavi, previsione che manca nel regime dei contribuenti minimi utilizzabile da Odv e Aps: per quest’ultimo è possibile applicare il regime forfettario recato dall’articolo 145 del Dpr n. 917 del 1986 (Testo unico delle imposte sui redditi).

Di seguito si riporta in tabella il confronto tra le due disposizioni.

  REGIME DEI CONTRIBUENTI MINIMI

(Articolo 5, comma 15 quinquies, DL 146/2021)

REGIME 398

(Legge 398/1991)

Quali attività Attività commerciali Attività commerciali connesse con gli scopi istituzionali
Quali soggetti ODV e APS ASD/SSD, associazioni senza scopo di lucro, proloco, cori bande e filodrammatiche
Fattura Elettronica Elettronica
Aliquota IVA operazioni attive Fuori campo IVA In funzione del tipo di prestazione/cessione (normalmente 22%)
Tetto ricavi 65.000 euro 400.000 euro
IVA operazioni passive Indetraibile-costo come consumatore finale Indetraibile-costo come consumatore finale
IVA da liquidare // Il 50% dell’IVA incassata sulle fatture di vendita (i 2/3 in caso di diritti di ripresa televisiva e trasmissione radiofonica)
Adempimenti Conservazione e numerazione fatture di acquisto, obbligo certificazione e conservazione corrispettivi Conservazione e numerazione fatture di acquisto, tenuta del registro dei contribuenti minori
Imponibile IRES Possibilità di applicare regime forfettario art. 145 TUIR Regime forfettario ai sensi della Legge 398/91 (3% dei ricavi)
Dichiarativi Dichiarazione Unico ENC e IRAP

No dichiarazione IVA

Dichiarazione Unico ENC e IRAP

No dichiarazione IVA

Al fine di comprendere appieno la disamina condotta si riporta un esempio concreto, legato al caso di una prestazione di servizi per pubblicità pari a 100 euro.

REGIME DEI CONTRIBUENTI MINIMI

(Articolo 5, comma 15 quinquies, DL 146/2021)

REGIME 398

(Legge 398/1991)

Emissione fattura in formato elettronico Totale fattura: 100 euro Totale fattura: 122 euro
Versamento IVA // 11 euro (entro il 16 del secondo mese successivo al trimestre di riferimento)
Detrazione IVA acquisti // //
Adempimenti Conservazione e numerazione fatture di acquisto, obbligo certificazione e conservazione corrispettivi Conservazione e numerazione fatture di acquisto, tenuta registro contribuenti minori
Imponibile fiscale A scaglioni dal 15% al 25% nel caso di applicazione dell’art. 145 del TUIR 3%
IRES Imposta 3,60 euro Imposta 0,72 euro
Importi che non concorrono alla determinazione imponibile fiscale // 11 euro
Netto finanziario che rimane all’ente 96,40 euro 110,28 euro

 © Foto in copertina di Nadia Bolognaprogetto FIAF-CSVnet “Tanti per tutti. Viaggio nel volontariato italiano”