La panetteria sociale della Cooperativa Sociale Shannara

Si trova a Portici, al corso Garibaldi, la panetteria sociale gestita dalla Cooperativa Sociale Shannara, attiva nella tutela dei ragazzi adolescenti e nella promozione delle politiche giovanili. Proprio uno dei percorsi di formazione e avviamento al lavoro gestiti da Shannara ha portato alla nascita della panetteria e quindi alla possibilità, per alcuni di loro, di imparare un mestiere e raggiungere un’autonomia.

Nel corso dei suoi anni di attività, la cooperativa si è ampliata attraverso l’apertura di una scuola di Formazione professionale e si è specializzata nella gestione di progetti di Segretariato Sociale, laboratori e progetti didattici negli Istituti Scolastici territoriali con il fine di prevenire la dispersione scolastica e di accrescere le competenze per l’accesso nel mercato del lavoro. Quello della panetteria sociale è uno dei tanti progetti di Shannara

L’articolo La panetteria sociale della Cooperativa Sociale Shannara proviene da Comunicare il sociale.

“Effetto visivo” per la fibrosi cistica

“Prendiamo un caffè o un Aperitivo insieme per far del bene?” E’ il senso dell’iniziativa che si terrà  sabato 28 ottobre presso il Lab Store Effetto Visivo in via Crispi 68 a Napoli dalle 10 alle 19, dove sarà adottare un ciclamino solidale.
Effetto Visivo è una start up innovativa: si occupa di cura del sé e sostenibilità, ma è anche molto sensibile alle cause solidali come è la Campagna Nazionale a sostegno della Fondazione Ricerca Fibrosi Cistica

L’articolo “Effetto visivo” per la fibrosi cistica proviene da Comunicare il sociale.

Dossier Statistico Immigrazione 2023 a cura di IDOS Centro Studi e Ricerche

Presentato questa mattina il Dossier Statistico Immigrazione 2023 a cura di IDOS Centro Studi e Ricerche, in collaborazione con Centro Studi
Confronti e Istituto di Studi Politici “S. Pio V”.
In un momento in cui il contrasto all’immigrazione irregolare e le chiusure verso i flussi di richiedenti asilo sono al centro dell’arena pubblica, il Dossier analizza, dati alla mano, l’aderenza tra le intenzioni politiche e l’efficacia delle misure adottate, tra le quali
spicca il trattenimento amministrativo, rafforzato ed esteso ai richiedenti asilo. Emerge vistosamente l’inefficacia del modello
detentivo: i Cpr esistono già da 25 anni, non funzionano (appena la metà dei trattenuti viene rimpatriata), ma costano enormemente in termini economici (56 milioni di euro solo per la gestione dell’ultimo triennio) e di rispetto dei diritti umani.
A dieci anni dal naufragio del 3 ottobre 2013 e a meno di un anno da quello di Cutro, il contrasto all’immigrazione irregolare si sta
concentrando non sui trafficanti (da non confondere con gli scafisti alla guida delle imbarcazioni) ma sui migranti, accomunati e confusi nella categoria dell’irregolarità, anche quando sono persone in fuga da guerre, crisi climatiche e gravi violazioni dei diritti umani.
I dati del Dossier Statistico Immigrazione 2023 aiutano a orientarsi nel confuso dibattito in corso, anche in relazione all’efficacia e alla
sostenibilità delle misure introdotte dal governo, a partire dalla detenzione amministrativa, ampiamente estesa – con modalità inedite – anche ai richiedenti asilo.
Nel 2022, su oltre 500.000 stranieri stimati in condizione di soggiorno irregolare in Italia (un decimo rispetto ai poco più di 5 milioni
regolarmente residenti), soltanto a 36.770 è stata intimata l’espulsione, circa 1 ogni 14 (inclusi 2.804 afghani e 2.221 siriani,
che pure fuggono da Paesi in guerra e da gravi pericoli per la propria persona). Di questi, solo 4.304 (11,7%) sono stati effettivamente
rimpatriati: una quota estremamente bassa e inferiore a quelle registrate perfino negli anni dell’emergenza sanitaria (15,1% nel 2021
e 13,7% nel 2020), caratterizzati da forti restrizioni nella mobilità internazionale.
Per l’identificazione e l’effettivo rimpatrio dei migranti irregolari l’Italia, ormai dal 1998, ha istituito la detenzione amministrativa in appositi centri, oggi denominati Cpr. Luoghi di
diritti negati, come da anni illustrano i rapporti del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, ma anche
poco utili allo scopo che si prefiggono. Nel 2022 vi sono transitati 6.383 migranti, il 68,7% in più rispetto al 2021 (4.387), ma solo la
metà dei trattenuti (49,4%) ne è uscita per rientrare nel Paese d’origine (3.154), un’incidenza in linea con quella degli anni
precedenti (50,9% nel 2022 e 49,0% nel 2021), ad evidenziare che la scarsa efficacia non è contingente ma intrinseca al sistema.
È anche dimostrato che il tasso di efficacia non migliora prolungando i tempi del trattenimento, periodicamente oscillati, dal 1998 ad oggi, tra i 30 giorni e i 18 mesi. Tra il 2019 (48,5%) e il 2020 (50,8%), per
esempio, quando il tetto era di 6 mesi (a fronte degli attuali 3, che il governo ha prolungato a 18), i livelli restano analoghi. Lo stesso vale
per la moltiplicazione delle strutture: nel 2016-2017 si era arrivati ad averne 14 (1.400 posti), senza per questo ridurre le sacche di
irregolarità.
Il prolungamento del trattenimento e l’aumento dei Cpr (o di strutture analoghe) comportano, invece, maggiori costi economici, oltreché umani.
La finanziaria di fine 2022 ha previsto una spesa, per il triennio 2023-2025, di 42,5 milioni di euro per rafforzare il sistema dei Cpr con
206 nuovi posti. E ulteriori risorse dovranno essere stanziate per averne uno per regione. Tra il 2021 e il 2023 sono stati spesi 56
milioni di euro per affidare a soggetti privati la gestione dei Cpr, cifra che non include i costi del personale di polizia e di manutenzione
delle strutture.
L’attuale modifica, la quindicesima in 25 anni, si prospetta come una politica di reclusione generalizzata: nuovi Cpr, tempi di trattenimento più lunghi e, soprattutto, un allargamento delle casistiche e dei luoghi in cui mettere in atto la detenzione amministrativa, estesa su vasta scala perfino ai richiedenti asilo. Il Decreto Cutro, infatti,
amplia la platea di quelli sottoposti alla procedura accelerata di frontiera, e quindi al trattenimento, a coloro che richiedono protezione dopo aver eluso (o tentato di eludere) i controlli o che provengono da
un Paese designato come “sicuro”, qualora non abbiano passaporto o non versino “idonea” garanzia finanziaria, fissata in 4.938 euro. Il
trattenimento, oltre che negli hotspot, potrà avvenire, in caso di arrivi consistenti, in “strutture analoghe” sul territorio nazionale
o nei Cpr. Si introduce, inoltre, la possibilità di trattenere nei Cpr i richiedenti asilo “dublinati”, in attesa del trasferimento verso il Paese Ue competente. In sostanza, la detenzione viene estesa a una gamma estremamente ampia di richiedenti, in contrasto con la normativa
europea che ammette il trattenimento solo in casi eccezionali e residuali, escludendo automatismi e generalizzazioni.
Preoccupa il passaggio da un modello di accoglienza basato sulla protezione e l’inclusione dei richiedenti asilo a un sistema che ne produce l’isolamento, li considera irregolari e li tratta come un pericolo sociale. Invece di incentivare canali sicuri di ingresso per scongiurare ulteriori tragedie in mare e lungo le rotte terrestri, si sta realizzando uno smantellamento del diritto d’asilo e del relativo
sistema di accoglienza. Un’opzione che si scontra con la realtà globale di un mondo in cui i migranti forzati già superano i 108 milioni di persone (per il 40% minori) e continueranno ad aumentare nel medio-lungo periodo.

L’articolo Dossier Statistico Immigrazione 2023 a cura di IDOS Centro Studi e Ricerche proviene da Comunicare il sociale.

Il basket apre le carceri italiane. È nato il progetto The Cagers

In principio erano i “cagers”. James Naismith aveva pensato un nuovo gioco con due canestri, una palla, cinque giocatori in campo per parte. E fu basketball. I giornalisti dell’epoca, per facilità, chiamarono gli atleti cagers. Il motivo? Le sfide erano disputate in una gabbia, in inglese cage.Il motivo era chiaro. Il professore canadese di educazione fisica, che insegnava alla YMCA international Training School di Springfield, nel Massachussets, aveva immaginato qualcosa di diverso dal football, a cui tutti potessero partecipare non in base alla forza o alla stazza ma grazie all’abilità di infilare una palla in un cesto a 10 piedi del pavimento. Con l’andare del tempo però il gioco divenne molto duro, tanto che i giocatori indossavano protezioni per difendersi dai colpi. La pallacanestro venne così chiamata, in maniera gergale, the Cage Game ovvero il Gioco della Gabbia. Il motivo è semplice: le partite si disputavano all’interno di alte recinzioni. Lo scopo era quello di proteggere gli sportivi dal lancio di oggetti da parte del pubblico, molto più vicino al campo rispetto ad altri sport: volavano bottiglie, monete, sedie, di tutto insomma. Ma si voleva anche difendere il pubblico dai giocatori, che erano già molto più grandi e grossi rispetto alla media. E non avevano alcuna remora ad abbandonare la prestazione sportiva per rispondere alle provocazioni della gente.

Di tempo da allora ne è passato e, nella vita di tutti i giorni, le gabbie esistono ancora. Possono avere, tra tante, le sembianze di un carcere. Dove dentro le mura si sconta il debito verso la società.  E proprio all’interno di quelle mura, con il sostegno del Ministero della Giustizia e del Ministero per lo Sport e i Giovani che ne hanno apprezzato la grande valenza sociale, è entrata la pallacanestro con il progetto
THE CAGERS.

È stato formato uno staff tecnico di altissima qualità, composto da campioni con un passato eccellente come Federica Zudetich, Stefano Attruia e Donato Avenia, i tre tecnici chiamati a visionare e selezionare i futuri Cagers, con Francesca Zara che si occuperà della preparazione atletica

Hanno iniziato a girare le carceri italiane alla ricerca di detenuti/giocatori in grado di fare la squadra, come si dice in gergo, con delle selezioni che hanno proposto loro tante storie diverse. Tutti gli istituti di pena hanno ricevuto una comunicazione per aprire le porte a questo nuovo progetto inclusivo, di alto spessore sociale che sta coprendo l’Italia, da Nord a Sud, passando per le isole. I primi allenamenti si sono svolti nelle carceri di Piazza Armerina, Caltagirone, Enna, San Cataldo, Vibo Valenzia, Augusta, Catania, Napoli, Volterra, Gorgona, Civitavecchia. E si va avanti con nuove tappe in altri istituti di pena.

Cosa porta con sé all’interno delle carceri il basket del progetto THE CAGERS? Non solo una ventata di libertà, ma soprattutto il rispetto delle regole che è alla base del suo esistere. La pallacanestro è uno sport dove il NOI, inteso come coesione del gruppo, deve sempre prevalere sull’IO. Non c’è spazio per personalismi ed egoismo. Un aiuto in difesa o un assist in attacco esaltano la forza del gruppo dando slancio alle ambizioni di tutti che con i sogni possono viaggiare insieme per aprire prospettive inaspettate. Ecco allora la voglia di riscatto di fronte ad una sconfitta, i nuovi obiettivi da centrare, le possibilità, una volta riapertesi le porte sulla vita di ogni giorno, di reinserirsi nel tessuto sociale come uomini nuovi.

Sarà Trieste la sede scelta per questa avventura dei CAGERS. Lì ci si allenerà come una squadra professionistica per togliere ruggine dalle articolazioni, dare forza ai muscoli, iniziare a prendere confidenza con la palla ed i fondamentali. Obiettivo: costruire, passo dopo passo, una squadra. Giochi a due, a tre, a quattro, e via fino al cinque contro cinque. 


“Nasce proprio a Trieste questa idea di veder rimbalzare una palla da basket dentro alle carceri italiane” racconta Stefano Attruia. “Ero in visita – prosegue l’ex playmaker – per incontrare i detenuti, dentro la casa circondariale della città. Sento una voce che mi chiama: Stefano. Mi giro e incontro un volto inaspettato con gli occhi di sempre, gli occhi di quando eravamo bambini. Ed eccoci qui dentro le mura della Casa Circondariale di Trieste a tuffarci nei ricordi della nostra pallacanestro, le prime partite e i primi ritiri di preparazione in montagna. Il nostro abbraccio muove una sensazione: portare la palla oltre il muro per avvicinare questo contesto alla comunità sociale è una naturale conseguenza. Quello che possiamo fare noi allenatori, dentro e al di là del muro, è metterci al servizio degli altri portando tutto l’amore che abbiamo per questo sport. E’ un’ idea che siamo riusciti a far diventare realtà grazie  all’impegno e al prezioso contributo del direttore del carcere  di Trieste Graziano Pujia ed alla disponibilità dei tanti direttori degli altri istituti di pena che hanno aderito al progetto”.

Tante storie si intrecciano in questa squadra che si sta costruendo, tutte diverse. Andranno a mischiarsi ad altre di un gruppo che, tappa dopo tappa, verrà ultimato con altri innesti. È intanto frenetico il ritmo delle selezioni, con lo staff impegnatissimo a vincere scetticismo, timidezze ed a cercare un nuovo talento nascosto tra chi l’esistenza oggi la vive dietro alle sbarre.

L’articolo Il basket apre le carceri italiane. È nato il progetto The Cagers proviene da Comunicare il sociale.

DEA,IL PERCORSO GRATUITO DI FORMAZIONE DIGITALE E INSERIMENTO LAVORATIVO RIVOLTO ALLE DONNE

Si chiama DEA – Digital Empowerment Academy, il progetto di empowerment femminile e formazione in ambito digitale selezionato dal Fondo per la Repubblica Digitale – Impresa sociale e realizzato da Cantiere Giovani in partnership con Arcobaleno, Goodwill e Talent Garden Cosenza in tre regioni italiane Campania, Puglia e Calabria.

Da Settembre 2023 e fino a Maggio 2024, DEA offre 4 percorsi formativi in ambito digitale: Web developer full stack (500h), Gestione E-commerce (150h), Grafica Digitale (100h) e Informatica di base (100h).

Sono già partiti i primi corsi in Campania, Puglia e Calabria, che coinvolgono le prime 65 beneficiarie. Donne intraprendenti alla conquista del loro futuro, pronte ad affrontare la sfida del mondo digitale e della conciliazione tra famiglia e lavoro.

Secondo il Digital Economy and Society Index (DESI) della Commissione Europea, in Italia sono 26 milioni le persone senza competenze digitali di base. Si tratta del 54% della popolazione tra i 16 e i 74 anni, rispetto al 46% della media Ue. Inoltre, solo il 43,1% delle donne possiede competenze digitali di base, rispetto alla media europea del 52,3%.

Tra le attività̀ più̀ richieste dal mercato del lavoro nel 2023, ci sono le nuove professioni digitali, per le quali si trovano poche figure specializzate. D’altra parte, per qualsiasi impiego sono necessarie conoscenze informatiche minime.

Il progetto “DEA – Digital Empowerment Academy” è un intervento indirizzato a migliorare l’occupabilità e l’inclusione di 225 donne, da 18 a 50 anni, della Campania, della Calabria e della Puglia, attraverso l’incremento di competenze digitali e di soft skills.

Propone percorsi formativi di upskilling per donne in condizioni di svantaggio, e percorsi di reskilling, per donne con formazione umanistica con bisogni di incremento delle competenze digitali. I percorsi sono integrati da attività per lo sviluppo di life skills (capacità relazionali, cooperative e imprenditività) e lezioni di inglese. Il progetto offre un supporto di babysitting e ludoteca per favorire la conciliazione con gli impegni familiari.

Finalizzato all’inserimento lavorativo, il progetto prevede un team dedicato all’orientamento e placement in uscita e un modello di matching innovativo attraverso l’organizzazione di eventi (recruiting hackathon) dove le aziende incontreranno le partecipanti.

Nell’ottica della creazione di una rete di aziende interessate, da oggi è possibile aderire a DEA – Digital Empowerment Academy attraverso una manifestazione di interesse, gratuita e senza impegno, che permetterà l’accesso alla directory dei profili, la visibilità dell’azienda e la valorizzazione della propria responsabilità sociale d’impresa, la partecipazione agli eventi di recruitment.

Per candidarsi o per richiedere informazioni contattare:

IN CAMPANIA: Tel. 081.8328076 / 350.9959666; www.cantieregiovani.org/dea

IN PUGLIA: Tel. 375.5744991; email: progettodea.arcobaleno@gmail.com; www.arcobalenofoggia.it

IN CALABRIA: Tel. 351.5395550; www.goodwillteam.it

L’articolo DEA,IL PERCORSO GRATUITO DI FORMAZIONE DIGITALE E INSERIMENTO LAVORATIVO RIVOLTO ALLE DONNE proviene da Comunicare il sociale.

Un calendario rosa per la ricerca contro i tumori femminili

Sono lontani gli anni in cui la parola tumore veniva sussurrata o sostituita dall’eufemismo pietoso del ‘brutto male’. Oggi c’è chi, toccato dal dramma del cancro, dalla propria esperienza sa trarre un messaggio così dirompente da consentirgli di rivoluzionare la sua intera esistenza. Raffaella Ferrara, pink ambassador della Fondazione Veronesi in Campania, ne è l’esempio: dopo la diagnosi ha deciso di investire il suo tempo e il suo vulcanico temperamento per la causa della prevenzione e della ricerca sui tumori che colpiscono le donne. Raffaella è così attiva che servirebbe un intero articolo per elencare le sue iniziative di beneficenza e promozione in favore della Fondazione del compianto oncologo milanese; l’ultima di queste iniziative è il Calendario rosa che verrà presentato a Nola presso il Ro World (Vero Rooftop) dalle 17 alle 20 del 29 ottobre.
«Undici donne e una giovanissima – spiega Raffaella Ferrara – hanno prestato il loro viso e la loro storia per questo calendario che verrà venduto e il cui ricavato sarà destinato alla Fondazione Veronesi. Le undici donne sono sopravvissute al cancro e alcune stanno ancora combattendo la loro battaglia; la modella più giovane invece è mia figlia, che abbiamo scelto per rappresentare la necessità che la prevenzione inizi quando si è giovani e soprattutto quando vi è familiarità con queste malattie. Il tumore non ha età, lo screening è fondamentale sempre, bisogna partire prima ed educare al corretto stile di vita».
Ogni foto è accompagnata da una frase significativa a sostegno della ricerca e che ricordi a tutti che il tumore non è più un tabù sinonimo di morte certa, che con il tumore e dopo il tumore è possibile una vita dignitosa. E’ possibile vivere.
«Dopo la mia diagnosi la mia vita è cambiata – spiega Raffaella – Ho voluto raccontare la mia storia, quella di chi travolta dalla tempesta della malattia – che si è abbattuta anche sulla mia famiglia – ha saputo trarre un’esperienza positiva. Oserei dire che dopo la diagnosi si diventa persone migliori perché ci si concentra sulle priorità. Tutto il resto vien dopo o perde di significato».
Il sogno della pink ambassador Raffaella Ferrara è quella di tante donne e uomini colpiti dalla malattia: «Mi auguro che entro i prossimi dieci anni potrò raccontare ai miei nipoti che il tumore è solo un ricordo».
di Bianca Bianco

L’articolo Un calendario rosa per la ricerca contro i tumori femminili proviene da Comunicare il sociale.