“Piantalo!”, l’evento che celebra il San Marzano dop

Il 13 maggio 2025 torna a Sarno l’evento “PIANTALO!”, promosso da Gustarosso – DANIcoop, dedicato a celebrare uno dei momenti più simbolici e delicati del ciclo agricolo del Pomodoro San Marzano DOP: il trapianto delle giovani piante di pomodoro nel terreno.
Durante questa giornata, le piantine, che nei mesi estivi daranno frutti raccolti a mano dagli agricoltori, vengono messe a dimora, segnando un passaggio fondamentale nella crescita del prodotto.

L’evento si svolgerà dalle 9:30 alle 13:30 presso gli “Orti della Musica”, un parco che unisce paesaggio agricolo e vocazione culturale, creando un ambiente armonico tra natura e cultura.
Un’occasione speciale per coinvolgere cittadini, operatori, appassionati, studenti e rappresentanti del territorio in una mattinata dedicata all’identità agricola della Valle del Sarno.

“PIANTALO!” si inserisce in un più ampio percorso di valorizzazione della cultura agricola dell’Agro Sarnese-Nocerino, promosso da Gustarosso, un brand riconosciuto a livello internazionale per la tutela e la diffusione del vero pomodoro San Marzano DOP.
Da decenni, Gustarosso lavora con passione per preservare la qualità, la dignità e il valore degli agricoltori e del prodotto, oggi protetto e riconosciuto anche a livello europeo.

Durante la mattinata, ci saranno laboratori, tavole rotonde e degustazioni: più che un semplice evento agricolo, si tratta di una vera e propria dichiarazione d’intenti, un’esperienza culturale e partecipativa.
Un momento che affonda le sue radici nella tradizione contadina del territorio, ma che guarda anche alla valorizzazione sostenibile della filiera agroalimentare, unendo generazioni, mestieri e saperi diversi.

di Annatina Franzese

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“BELLA STORIA. La tua”. Percorso di crescita dedicato a 50 giovani provenienti dalla Calabria e dalla Campania

Si chiama “Bella Storia. La Tua” il bando che accompagna 50 giovani provenienti da Calabria e Campania in un percorso di crescita personale, formazione e orientamento al futuro, promosso da Fondazione Unipolis (Fondazione d’impresa del Gruppo Unipol).

La BPER è Partner Tecnico del progetto e ha scelto di sostenere questa iniziativa perché ne condivide i valori profondi, nella convinzione che il contrasto alle disuguaglianze educative, la promozione dell’equità e il sostegno al talento giovanile siano elementi fondamentali per costruire una società più giusta e inclusiva. L’impegno nel sociale si esprime, dunque, offrendo strumenti e opportunità concrete a chi ha meno possibilità di accesso, ma grandi potenzialità da esprimere.

Il progetto ha lo scopo di unire sostegno economico, formazione e sviluppo di competenze trasversali. Un’occasione per rafforzare la fiducia dei partecipanti nelle proprie capacità e aiutarli a costruire percorsi di vita e di studio più consapevoli e autonomi.

Il progetto prevede un accompagnamento lungo tre anni, con il supporto di mentor, formatori e professionisti. Ogni partecipante riceverà un contributo economico fino a 4.500 euro, per coprire spese legate a istruzione, materiali didattici e attività culturali o sportive, con l’obiettivo di favorire l’autonomia nelle scelte educative e nella gestione delle risorse.

La scadenza per partecipare al bando è il 28 maggio 2025.

Qui il link (Bella Storia. La tua) del progetto

 

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Antisionismo e antisemitismo, quando la guerra si fa (anche) con le parole. Come non cadere nel tranello L’INTERVISTA

L’argomento è spinoso, la strada da imboccare per fare chiarezza è scivolosa e piena di insidie e la (non) comunicazione sui social molto spesso crea ancora più caos. La guerra talvolta parte dalle parole, dal cattivo uso che se ne fa, dalla mancanza di conoscenza dei termini che si utilizzano. Sionista, antisionista, antisemita, ebreo, islamico, palestinese. Quante volte al giorno ascoltiamo o leggiamo queste parole, e quanto le comprendiamo per davvero?
Il conflitto israelo-palestinese in questi mesi sta sconvolgendo nuovamente il Medio Oriente. Notizie drammatiche si susseguono e, inevitabilmente, gli effetti si fanno sentire anche sul web attraverso i social che fanno da cassa di risonanza alle opinioni più disparate, anche da un punto di vista “locale”. Proprio in questi giorni una piccola guerra si è scatenata, tra i leoni da tastiera e non solo, in seguito alla polemica suscitata dalla presa di posizione di una ristoratrice di Santa Chiara a Napoli che ha messo alla porta una comitiva di israeliani che avrebbe esaltato le azioni di forza del governo Netanyahhu nella striscia di Gaza.
Andare a smembrare tutte le componenti della marmellata del linguaggio quando viene infettato da mancanza di conoscenza, violenza e tuttologia è complicato visto che molto spesso la guerra – quella via social – viene combattuta senza conoscere le proprie armi, appunto le parole, il significato dei termini utilizzati per sostenere le proprie ragioni, creando sempre più confusione e gettando benzina sul fuoco della polemica.

A provare a fare chiarezza arriva in aiuto il professore di Sociologia del Mondo Arabo dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, Antonello Petrillo.

Innanzitutto, professore, qual è il significato della parola sionismo?

«Il sionismo è un movimento politico religioso nato nel XIX secolo che mirava a costituire in Palestina uno stato israeliano per accogliere gli ebrei dispersi nel mondo. Nasce con il risollevarsi dei nazionalismi nel mondo e al rigurgito dell’antisemitismo. Ma l’essere ebrei non coincide certo con l’essere sionisti».

Tornando alla vicenda dalla quale prendiamo spunto, è venuta fuori la parola “sionista”. Vogliamo chiarire? Chi è oggi un sionista?

«Non c’è alcuna offesa in sé nel termine “sionista”. L’errore a monte è che spesso l’antisionismo viene confuso con l’antisemitismo. Un ebreo non si sente offeso se viene chiamato sionista, magari non lo è ma non è questo il punto. Ad esempio, è un po’ come se dicessimo di qualcuno che è leghista e invece non lo è ma è appartenente a un altro partito politico. Il sionismo è un movimento che ha fondato lo Stato di Israele, ma che non coincide con l’essere ebreo. In definitiva essere ebrei ed essere sionisti non è assolutamente la stessa cosa».

A cosa è dovuta la confusione sul significato di questi termini?

«Innanzitutto perché fa comodo a Israele. Dire che se sei contro di me, contro i massacri di Gaza, contro il genocidio, contro la pulizia etnica sei automaticamente contro gli ebrei e quindi antisemita, fa comodo. Palesemente le due cose non coincidono. Infatti i nazisti erano antisemiti ma non antisionisti. E oggi molti dei governi che appoggiano Israele, compreso il nostro, sono filo-sionisti, ma non sono necessariamente immuni dall’antisemitismo».

Con la stessa chiarezza possiamo spiegare la differenza tra l’essere ebreo e l’essere israeliano?

«Essere ebreo è identificarsi con una cultura religiosa, non è essere etnicamente qualcosa di preciso perchè geneticamente non esiste l’ebreo. Gli ebrei nel corso del tempo si sono mescolati con tantissime altre popolazioni. Purtroppo l’ala radicale del sionismo contemporaneo rivendica, invece, una sorta di appartenenza etnico-razziale che non esiste. L’autoidentificazione si sviluppa soprattutto a seguito delle persecuzioni, cresce sicuramente quando papa Paolo IV nel 1555 istituisce i ghetti affermando che gli ebrei sono una razza a parte, il popolo che ha ucciso Cristo. Ovviamente, vivendo nei ghetti, essendo impossibilitati a uscire, a sposarsi con altre persone, gli ebrei hanno incorporato questa idea. Un po’ come, parafrasando e semplificando, il popolo rom, che geneticamente non esiste. Però un rom sente di far parte di quella particolare cultura. I nazisti, al tempo, andavano a chiedere ai rabbini chi fosse considerato ebreo e la risposta fu che erano da considerarsi ebrei tutti quelli che erano figli di madre ebrea. Un parametro che ha paradossalmente aiutato il Nazismo nella sua follia sterminatrice. Un paradosso tragico che si verifica ogni volta che una popolazione viene inferiorizzata. A un certo punto capita che ci si senta davvero ciò che gli avversari pensano di te, ti senti appartenente ad una razza. Ma gli ebrei non sono una razza, sono una cultura religiosa».

Ed essere israeliano, invece?

«Dentro Israele le razze esistono. Palestinesi a parte, gli ebrei orientali, i Mizrahim, che vivevano da sempre in Medio Oriente, sono stati oggetto di pesanti discriminazioni da parte dei “nuovi arrivati” europei, di cultura “europea”, gli askenaziti, insieme ai loro fratelli di pelle scura provenienti dall’Etiopia, i Falascia. Fino a tempi assai recenti nessuno di loro ha avuto accesso, per esempio, a cariche di governo. Un razzismo aperto tra ebreo ed ebreo dentro Israele, alla base anche della terribile crisi politica che il paese vive oggi».

Come si passa dalla posizione antisemita delle destre europee all’ammirazione dei governi di destra per Israele?

«Da quando le destre hanno ricominciato a prendere piede in Europa e in tutto l’Occidente ha fatto comodo nascondere l’antisemitismo, fatto di stereotipi che vedevano l’ebreo avaro, uccisore di Cristo eccetera, eccetera, mentre cresceva l’ammirazione per Israele, autentico modello per tutti coloro che auspicano politiche dure verso ciò che è diverso da noi e che avvertiamo come una minaccia (i migranti per esempio). Nel 2016 è arrivata la dichiarazione dell’IHRA (International Holocaust Remembrance Alliance, un’organizzazione intergovernativa) sull’antisemitismo, che fa sostanzialmente coincidere antisemitismo e critica al sionismo e allo stato di Israele».

Ma non è l’unica definizione di antisemitismo.

«Nel 2021 a Gerusalemme, duecento studiosi, in gran parte ebrei, si riunirono per rilasciare la Dichiarazione di Gerusalemme, nella quale si afferma che l’antisemitismo non coincide con l’avversione alle politiche di Israele, ma è un riproporre quegli antichi stereotipi legati agli ebrei. In definitiva non è che tutto il mondo ebraico, fuori e dentro Israele, sia concorde con le politiche del governo».

Ma cosa significa essere semiti?

«Essere semiti significa appartenere a una determinata popolazione che nasce in Medio Oriente. Semiti sono anche gli arabi, quindi attribuire l’antisemitismo al palestinese o a un siriano o a un libanese, è una cosa assurda. Quando leggiamo che un palestinese è antisemita perché è contro lo Stato di Israele è assurdo, perchè il palestinese è un semita. La stessa lingua araba è semita, esattamente come l’ebraico. Si fa una confusione enorme. Anche l’”islamofobia”, il nostro fastidio per i musulmani che vengono in Europa per sfuggire a fame e guerre, è – a rigore – una forma di antisemitismo. Gli ebrei che sono in Italia sono persone in genere integrate, spesso benestanti, sono come noi. Ma quelli che arrivano dal Maghreb o dalla Siria, poveri, somaticamente diversi da noi, ci fanno paura. L’islamofobia è un volto dell’antisemitismo perchè se la prende con un’etnia semita. Quindi far coincidere antisemitismo e antisionismo è una cosa sbagliatissima. Sull’antisionismo c’è un errore di fondo fatto quando l’Unione europea ha recepito la dichiarazione di Stoccolma dell’IHRA invitando i governi degli stati membri ad adottare leggi sulla base di tale dichiarazione. In pratica se io critico lo Stato di Israele sono antisemita per legge. Questo anche in Italia, anche se l’applicazione da noi è più blanda rispetto a paesi come la Germania o il Regno Unito».

di Nadia Labriola

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A Napoli il Forum delle Comunità Attive e delle Reti Solidali

Il 13 e 14 maggio Napoli diventa il cuore pulsante del dialogo sociale e della partecipazione civica con il Forum delle Comunità Attive e delle Reti Solidali, promosso dalla Fondazione Super Sud. L’iniziativa si svolgerà a Palazzo Ricca (Via dei Tribunali, 213), sede della Fondazione Banco di Napoli, e rappresenta un appuntamento chiave per rilanciare un processo collettivo di rigenerazione urbana, innovazione sociale e cooperazione tra istituzioni e società civile.

 

Nato con l’obiettivo di creare connessioni tra realtà diverse ma unite dalla volontà di generare cambiamento, il Forum si rivolge a tutto l’ecosistema del terzo settore: associazioni, cooperative, organizzazioni di volontariato, enti locali, cittadini attivi e rappresentanti delle istituzioni saranno chiamati a confrontarsi su nuovi modelli di sviluppo centrati sulle comunità e le loro risorse. Il tutto secondo una visione di welfare generativo, che non si limita a rispondere ai bisogni ma valorizza le energie locali e promuove la corresponsabilità nella costruzione del bene comune.

 

Questa seconda edizione del Forum sarà un grande laboratorio di idee e pratiche condivise, in cui discutere di politiche sociali, co-progettazione, inclusione, riappropriazione degli spazi urbani e contrasto alla povertà educativa. I partecipanti prenderanno parte a momenti di confronto, lavoro e ispirazione reciproca, con l’obiettivo di far emergere visioni comuni e progetti concreti capaci di incidere sul tessuto sociale ed economico dei territori.

 

Il Forum non vuole essere solo uno spazio di riflessione, ma anche un’occasione per attivare reti, alleanze e nuove forme di collaborazione tra pubblico e privato. Un’opportunità per connettere pratiche locali e politiche nazionali, mettendo al centro dell’agenda pubblica le sfide e le opportunità delle comunità educanti italiane.

 

Il Forum delle Comunità Attive e delle Reti Solidali si conferma così come un’esperienza collettiva che parla il linguaggio dell’impegno, della responsabilità condivisa e della speranza concreta in un futuro più giusto, inclusivo e partecipato.

 

Programma

 

GIORNO 1 – 13 maggio

Ore 10.00 – Saluti istituzionali e apertura dei lavori (Plenaria)
Rigenerazione urbana e innovazione sociale per le politiche del territorio

Saluti istituzionali:

  • Giovanni D’Avenia, Presidente Fondazione Super Sud

Introduzione:

  • Raffaele Sibilio, Professore di Sociologia Generale, Università degli Studi di Napoli “Federico II”

Interventi:

  • Orazio Abbamonte, Presidente Fondazione Banco di Napoli
  • Laura Lieto, Vicesindaco del Comune di Napoli
  • Domenico Credendino, Presidente Fondazione Carisal
  • Giulio Maggiore, Presidente Osservatorio sull’Economia Civile della Regione Campania
  • Francesco Pirone, Professore di Sociologia dei processi economici e del lavoro, Università di Napoli “Federico II”
  • Giovanna De Rosa, Direttore CSV Napoli
  • Francesco Emilio Borrelli, Deputato della Repubblica Italiana

Conclusioni:

  • Alessandra Locatelli, Ministro per le Disabilità

Modera: Barbara Landi, giornalista Il Mattino

 

Ore 15.00 – Tavolo Tecnico 1:

Rigenerazione urbana e inclusività dei luoghi

  • Vincenzo Gargiulo, Avvocato

 

Ore 16.00 – Tavolo Tecnico 2:
Inclusione sociale per la rigenerazione urbana

  • Gianluca Voci, Architetto e amministratore di Zooarchitecture, redattore del progetto RLM
  • Giuseppe Brandi, Avvocato esperto di terzo settore
  • Emanuele Russo, Presidente Cooperativa La Sorte
  • Vincenzo Pisciottano, Ingegnere ambientale, Cooperativa Agriadvisor

 

Ore 17.00 – Tavolo Tecnico 3:
Innovazione sociale e rigenerazione urbana per il contrasto alla povertà educativa

  • Autilia Cozzolino, Ricercatrice, Centro Studi SRM – Ufficio Economia Territoriale, Imprese e Terzo Settore
  • Paola Buonanno, Sociologa e cultore di Sociologia Generale, Università degli Studi di Napoli “Federico II”

 

GIORNO 2 – 14 maggio

 

Ore 10.00 – Plenaria finale e restituzione dei lavori
Rigenerazione urbana e innovazione sociale per le politiche del territorio: per un nuovo inizio

Restituzione dei tavoli tematici:

  • Raffaele Sibilio, Professore di Sociologia Generale, Università degli Studi di Napoli “Federico II”

Interventi:

  • Nicola Ricci, Segretario Generale CGIL Napoli e Campania
  • Melicia Combierati, Segretario Cittadino CISL Napoli
  • Giovanni Mensorio, Consigliere regionale della Campania
  • Luigi Della Gatta, Presidente ANCE Campania
  • Adriano Giannola, Presidente SVIMEZ

 

Modera: Francesco Gravetti, Giornalista e Redattore Comunicare il Sociale

 

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Le madri in Italia sempre più sole e penalizzate: lo studio di Save the Children

Maternità in Italia e in Campania: donne sempre più sole e penalizzate. E’ quanto emerge nell’analisi redatta da Save the Children, che ormai da 10 anni in vista della Festa della Mamma, sviluppa il rapporto “Le Equilibriste – La maternità in Italia 2025”. Uno studio che traccia il rapporto tra genitori donne e occupazione lavorativa. All’interno dell’indagine è presente anche “l’Indice delle Madri”, elaborato dal’Istat, cioè una classifica delle Regioni italiane dove per le mamme è più facile o difficile vivere. Anche quest’anno, l’Indice riporta la Provincia Autonoma di Bolzano in cima ai territori amici delle madri, seguita da Emilia-Romagna e Toscana, mentre fanalino di coda, come nella scorsa edizione, risulta la Basilicata, preceduta in fondo alla classifica da Campania, Puglia e Calabria.
Le mamme single risultano le più penalizzate, dove l’ostacolo per l’occupazione è evidenziata dalla combinazione di fattori come la bassa istruzione, la giovane età e la residenza nel Mezzogiorno. Nel dettaglio, dal punto di vista territoriale, si conferma una netta frattura tra Nord e Sud. Nel 2024, il tasso di occupazione delle mamme single tra i 25 e i 54 anni supera l’83% nel Nord, sia per le madri con almeno un figlio minore che per il totale delle madri sole, mentre nel Mezzogiorno non va oltre il 45,2%, con un leggero aumento rispetto al 2023. Nel Centro si registra una crescita più contenuta, ma comunque positiva. Questi dati segnalano un miglioramento, ma anche la persistenza di un forte squilibrio territoriale.

Il 20% delle donne smette di lavorare dopo essere diventata madre, percentuale che sale al 35% tra le madri di figli con disabilità. Una scelta spesso dettata dall’assenza di servizi per l’infanzia e dalla mancata condivisione dei compiti di cura all’interno delle famiglie. Nella dimensione Lavoro solo 5 regioni risultano al di sopra della media Italia: Marche (102,752) capofila, Piemonte (101,510), Abruzzo (101,066), Liguria (100,517) e Toscana (100,025). La regione meno virtuosa è la Campania (82,175), preceduta da Sicilia (83,036), Provincia Autonoma di Trento (84,741) e Puglia (85,410). L’Emilia-Romagna (97,124) rispetto all’anno passato perde una ulteriore posizione passando dal 10° all’11° posto, quando nel 2022 si attesta prima. La Lombardia (99,389) invece, guadagna una posizione conquistando il 6° posto.

 

L’Italia occupa il 96° posto su 146 Paesi nel mondo in relazione alla partecipazione femminile al mondo del lavoro, mentre rispetto al gender gap retributivo si trova alla 95esima posizione. Inoltre, più di una donna su quattro (26,6%) nel nostro Paese è a rischio di lavoro a basso reddito, mentre la stessa condizione interessa un uomo su sei (il 16,8%). I dati sul divario salariale a sfavore delle donne preludono a una penalità ancora più netta quando queste decidono di mettere al mondo un figlio: la child penalty. Il 77,8% degli uomini senza figli è occupato, ma la percentuale sale al 91,5% tra i padri (92,1% per chi ha un figlio minore e 91,8% per chi ne ha due o più), mentre per le donne la situazione è molto diversa: lavora il 68,9% tra quelle senza figli, ma la quota scende al 62,3% tra le madri (65,6% per chi ha un figlio minore e 60,1% con due o più). Dai dati si evince che mentre gli uomini con figli sono più presenti nel mercato del lavoro degli uomini senza figli, per le donne avere figli è associato a una minore occupazione lavorativa.

 

Altro dato allarmante nel 2024 riguarda il calo delle nascite: il 2,6% (-370mila) rispetto all’anno precedente. Inoltre le donne fanno figli sempre più tardi, con l’età media al parto di 32,6 anni. Il Sud e le Isole hanno registrato i cali più significativi di nuove nascite, rispettivamente del 4,2% e del 4,9%. In questo panorama di crisi demografica, le mamme single sono quelle che si trovano spesso ad affrontare ulteriori difficoltà in termini di supporto sociale e stabilità economica.

di Adriano Affinito

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