21 Giu, 2019 | Comunicare il sociale
Scendere in campo con uno scopo diverso dal solito: vincere sì, ma per finanziare un progetto di responsabilità sociale sul territorio. Ventisei squadre amatoriali, formate da agricoltori provenienti da tutta l’Italia si sono cimentate in questa sfida “sociale” competendo per i 30.000 euro in palio. Il progetto nasce dall’ impegno di responsabilità sociale di ADAMA, società che fornisce agrofarmaci a livello internazionale, per contribuire alla crescita dell’agricoltura italiana anche attraverso iniziative in grado di valorizzare l’alleanza degli agricoltori con il proprio territorio e sostenere le comunità in cui gli agricoltori operano. La multinazionale ha organizzato le squadre e acquistato le magliette. Testimonial d’eccezione l’allenatore Arrigo Sacchi. Gli agricoltori si sono sfidati in gironi regionali o macro-regionali nel corso dei weekend del 2019 per arrivare alla finale dell’8 giugno che ha visto in campo quattro squadre: L’agrotecnico, Agrifarm 2012, Cerealfer Real Team e Simonetti. Una sfida all’ultimo sangue vinta dalla squadra Simonetti di Nola a sostegno del progetto “Coltiviamo Talenti” promosso dall’associazione Autism Aid che da anni è attiva in Campania a sostegno dei ragazzi autistici. Il progetto di Autism prevede interventi formativi e attività pratiche di agricoltura, giardinaggio, cucina e organizzazione eventi con lo scopo di aiutare i ragazzi a sviluppare potenzialità e nuove forme di espressione emotivo-comportamentali. “Io mi sono occupato dell’organizzazione -racconta Felice Simonetti, portavoce della squadra di Nola- mentre i due mister, Salvatore Giugliano e Antonio Peluso della scuola calcio Soccer Dream di Nola, hanno allenato i ragazzi. La nostra squadra è stata formata da giovanissimi agricoltori. Basti pensare che il giorno prima della finale uno dei ragazzi doveva andare in campagna a scavare due chili di patate e abbiamo fatto due ore di ritardo. Nonostante tutti i nostri impegni abbiamo dato il massimo per impegnarci. Percorrere 300 km per una partita di calcio è faticoso, ma conosciamo bene Autism Aid e crediamo profondamente nel progetto. Il primo tempo della finale è stato davvero critico, stavamo perdendo 4 a 0, ma al secondo tempo- spiega- abbiamo fatto un grande recupero. Ho spronato i ragazzi, l’idea di poter vincere e poter finanziare il progetto li ha risvegliati e alla fine abbiamo vinto. Sappiamo che questi 30.000 euro ora saranno spesi al meglio e Autism potrà crescere. La nostra soddisfazione più grande è aver giocato e vinto per quei ragazzi.”
di Lea Cicelyn
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21 Giu, 2019 | Comunicare il sociale
Terzo Settore: gli enti del volontariato costituiscono uno dei pilastri del non profit italiano e giocano un ruolo privilegiato nella riforma.
Il Dlgs 117/2017, c.d. Codice del Terzo Settore (CTS) ha infatti abrogato la precedente normativa di riferimento (L. 266/1991), includendo le organizzazioni di volontariato (ODV) tra le particolari categorie di enti del Terzo settore (ETS), con una sezione ad esse dedicata nel Registro unico nazionale (RUNTS). L’accesso al nuovo regime è rimesso sempre ad una scelta dell’ente che sarà tenuto ad allineare il proprio statuto alle disposizioni del nuovo codice.
Sul piano operativo, quindi, il primo step da compiere riguarda l’individuazione delle attività istituzionali che si intendono svolgere (tra quelle di interesse generale previste all’art. 5 del CTS), le quali devono costituire l’oggetto esclusivo o prevalente dell’ente. Le ODV, inoltre, dovranno prestare particolare attenzione alle modalità di svolgimento di tali attività, da esercitarsi prevalentemente a favore di soggetti terzi e con l’ausilio prevalente di volontari associati (art. 32 del CTS). Accanto alle attività istituzionali, le ODV per autofinanziarsi possono organizzare anche campagne di raccolta fondi (art. 7 del CTS) o svolgere attività “diverse” da quelle di interesse generale (art. 6 del CTS), purché secondarie e strumentali. Tali previsioni costituiscono indubbiamente per le ODV una grande chance rispetto al passato, in quanto le uniche attività ulteriori previste erano le “attività commerciali e produttive marginali” di cui al DM 25 maggio 1995. Sul fronte fiscale, numerose le novità per le ODV che saranno chiamate a valutare le opportunità della riforma del terzo settore che revisiona il regime ai fini delle imposte dirette e amplia il novero delle agevolazioni di cui tali enti potranno beneficiare.
Come detto, accedendo al Terzo settore tali enti potranno autofinanziarsi anche svolgendo attività commerciali, seppure in via del tutto secondaria, e, proprio per questo tipo di ricavi il legislatore ha concesso a tali enti un regime di tassazione particolarmente agevolato. Nello specifico, per le ODV con ricavi annui non superiori a 130 mila euro è possibile optare per la determinazione forfetaria del reddito di impresa eventualmente prodotto, applicando all’ammontare dei ricavi un coefficiente di redditività pari all’1% (art. 86 CTS). Laddove i ricavi siano superiori, è possibile fin ogni caso beneficiare del regime forfetario previsto per gli ETS non commerciali (art. 80 CTS), che, seppure meno vantaggioso rispetto a quello dedicato alle ODV, è comunque agevolato rispetto alle regole ordinarie.
In ogni caso, alcune attività che per altre tipologie di enti sarebbero astrattamente commerciali, per le ODV vengono espressamente decommercializzate, in ragione della natura prettamente volontaria dell’ente e delle particolari finalità perseguite. Tra queste, rientrano ad esempio le attività di somministrazione di alimenti e bevande effettuata dai volontari in occasione di manifestazioni a titolo occasionale, la cessione di beni acquisiti da terzi a titolo di sovvenzione, nonché la cessione di beni prodotti dagli assistiti/volontari (art. 84 CTS). Numerose sono anche le misure di vantaggio previste per le imposte indirette di cui le ODV possono beneficiare. Alcune comuni anche agli altri ETS, altre, invece, esclusivamente destinate a questa particolare tipologia di organizzazione. Tra le prime, vi sono l’esenzione dalle imposte di successione e donazione, nonché da quelle ipocatastali, per gli enti che ricevono donazioni e lasciti testamentari (art. 82, co. 2); l’applicazione in misura fissa delle imposte di registro e ipocatastali per i trasferimenti immobiliari a titolo oneroso (art. 82, co. 4); l’esenzione dall’imposta di bollo per qualsiasi atto/documento (anche informatico), posto in essere o richiesto dall’ente (art. 82, co. 5). Accanto a queste agevolazioni, le ODV possono beneficiare anche dell’esenzione dall’imposta di registro per gli atti costitutivi e quelli connessi allo svolgimento dell’attività (art. 82, co. 3), nonché dell’esenzione IRES per i redditi degli immobili destinati esclusivamente allo svolgimento dell’attività istituzionale (art. 84, co. 2).
Da ultimo, il CTS prevede specifiche detrazioni/ deduzioni per i soggetti che effettuano erogazioni liberali, in denaro o in natura. In particolare, le persone fisiche che donano ad una ODV potranno portare in detrazione dall’IRPEF un importo pari al 35% della liberalità, per un ammontare massimo di 30 mila euro; in alternativa, decidere di dedurre gli importi erogati entro il limite del 10% del reddito dichiarato. Per le erogazioni fatte da enti o società, invece, l’unica agevolazione applicabile è quella della deduzione, con le modalità appena citate.
di Gabriele Sepio,
Coordinatore del tavolo tecnico-fiscale per la riforma del Terzo Settore presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali
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19 Giu, 2019 | Comunicare il sociale
Nasce il progetto di solidarietà tra la pizzeria Ciro Savarese di Arzano e l’associazione Matteo 25. Un’iniziativa benefica, che è stata presentata nel locale di via Napoli 208, dal titolare e dalla presidente della onlus Anna Maria Ambrosino. Il progetto vede la discesa in campo di Savarese, pizzaiolo appartenente ad una storica famiglia come gli Oliva, su un doppio binario di solidarietà: la pizza Nerano, appena entrata in carta nel menu estivo, e un corso gratuito per aspiranti pizzaioli. Presentata in collaborazione con Gena Iodice, lady chef del ristorante La Marchesella di Giugliano, la Nerano permetterà a tutti clienti che la ordineranno dal 19 giugno al 30 settembre, di donare un euro per l’associazione che, a sua volta, li devolverà alle famiglie più disagiate del territorio a cui saranno consegnati pacchi alimentari. La seconda parte del progetto prevede la possibilità per due giovani di imparare l’antica arte del pizzaiolo, stando a stretto contatto con Ciro Savarese, che spiega: «Abbiamo inserito nel menu estivo la Nerano, una pizza tipica della nostra tradizione, grazie ad un connubio nato per l’occasione tra me e Gena Iodice con un doppio obiettivo, sia per inserire una novità in carta con l’arrivo dell’estate, sia per sostenere le persone meno fortunate di noi. Inoltre metterò la mia arte a disposizione di giovani volenterosi, a cui terrò corsi gratuiti per imparare a fare la pizza e dare loro la possibilità di un futuro lavorativo nel settore». Beneficiari dell’iniziativa i meno abbienti seguiti dall’associazione Matteo 25, come sottolinea la presidente Ambrosino: «Sono ormai quattordici anni che operiamo sul territorio e oltre a seguire i ragazzi immigrati che, per raggiungere i luoghi di lavoro, sostano tra la rotonda di Arzano, la 167, Casavatore, Sant’Antimo e Aversa, aiutiamo sia le famiglie italiane che straniere. Tra i nostri progetti: Adotta una famiglia, il rientro in patria e attività ludico-assistenziali e ricreative per anziani e minori». Tra le novità in carta i rocher al baccalà; la Profumi d’estate, focaccia multicereali con stracciata di bufala, battuto di pomodoro cuore di bue, olive verdi, alici marinate e scarola riccia; e due cavalli di battaglia di Gena Iodice, la fresellina condita a freddo con burrata di mozzarella di bufala, baccalà scottato in oliocottura con rosmarino e pepe rosa, pomodorini gialli e rossi e la millefoglie scomposta.
di Giuliana Covella
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19 Giu, 2019 | Comunicare il sociale
Scampia. Un Cantiere di Storia.
A pochi metri di distanza dal cantiere dove gli operai della “D&D Costruzioni” di Pozzuoli sono a lavoro per preparare l’annunciato abbattimento della Vela verde, due donne scendono le malmesse scale di un altro edificio del lotto M: è la Vela celeste, l’unica a non andare giù nel progetto “Restart Scampia’’ finanziato dal vecchio governo di centrosinistra per 27 milioni di euro (18 milioni presi dal “Bando periferie’’ ed altri 9 attraverso il Pon metro) e che anzi sarà riqualificata per ospitare in futuro gli uffici della Città Metropolitana.
Carmela e Mariella abitano nel palazzo dall’azzurro tenue oramai sbiadito da oltre vent’anni e sono testimoni di un presente ancora difficile per tantissimi inquilini (sia occupanti sia regolari) apparentemente lontani dal processo di riqualificazione urbana di quest’area di Scampia che prevede la demolizione della Vela verde e poi della gialla e dalla rossa. A loro, come per altre circa 320 famiglie, la nuova casa non è arrivata perché assenti nelle graduatorie comunali stilate per regolamentare le assegnazioni.
«Gli ascensori in questo palazzo non ci sono mai stati – dicono entrambe – e quando scendiamo le scale dobbiamo fare attenzione a non farci male. La manutenzione è scarsa».
In effetti, i gradini della Vela celeste, ma è così anche nelle altre tre, compresa quella ora disabitata perché cantierizzata, hanno le basi in parti divelte con pezzi di marmo disseminati un po’ ovunque. Le saliamo anche noi con circospezione e a metà percorso troviamo una porta in legno in piedi quasi per miracolo e un foglio scritto a penna che indica chi vi abita. Camminando tra i ballatoi del palazzo con ringhiere e barriere rotte ci imbattiamo in Vincenzo e Rosaria, due storici occupanti che tengono aperta la porta d’ingresso del loro appartamento interrato per permettere ad un operaio di pittare.
Vincenzo ha il piede ingessato e si muove a fatica con le stampelle; racconta il suo attuale disagio nel muoversi. «Ho avuto un incidente ben due anni fa e per molto tempo è stato difficilissimo anche salire e scendere le scale per uscire dall’appartamento. Mia moglie e gli altri erano costretti a portarmi in braccio». Chi realizzò le Vele tra gli anni ’60 e 70 pare quasi non aver previsto né pensato via di fuga o scivoli per diversamente abili o infortunati. E le conseguenze si vedono. Vincenzo e Rosaria si dicono «contrari all’abbattimento, siamo affezionati alle Vele». Scettico è anche Davide Cerullo, un tempo spacciatore per conto della camorra ed ora scrittore. Spiega come, a suo dire, «la peggiore oppressione si esercita su chi ha avuto negata la parola. Al lotto “M’’ i bambini non si rendono conto di essere tali, non hanno visto nient’altro che degrado. Perché dovrei esultare per la demolizione dei palazzi? Le Vele possono essere abbellite con fiori. I progettisti furono dei geni secondo me perché dal terzo piano puoi vedere il Vesuvio».
L’azione di contrasto all’abbandono è, però, anzitutto questione di punti di vista. Sono in tanti a vedere l’abbattimento delle Vele come l’unica soluzione ai fili elettrici pericolosamente penzolanti, alla spazzatura “frequentata’’ dai topi, ai tombini aperti. Dal Comitato Vele, protagonista fattivo del progetto “Restart Scampia’’ al pari dell’amministrazione comunale di Luigi de Magistris e della facoltà di Architettura della Federico II, Omero Benfenati e Lorenzo Liparulo ricordano:
«Questi palazzi sono stati il simbolo di un’ingiustizia sociale, farli venire giù significa dare concretezza ad un processo di riscatto costruito dagli abitanti. Ma – aggiungono – siamo appena all’inizio e non ci fermeremo fin quando tutti non avranno una casa dignitosa al pari degli altri assegnatari».
di Antonio Sabatino
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18 Giu, 2019 | Comunicare il sociale
Sofia. La bimba cieca che danza con il vento
Sofia e il Vento.
Napoli, ferrovia Cumana, fermata Pianura. Scendo dal treno e cammino nel quartiere della periferia flegrea. Cuffie nelle orecchie e pensiero fisso: Sofia, 8 anni, balla nel buio. Arrivo a destinazione, “Passione Danza” dice il cartello affisso fuori la scuola, entro e in calzamaglia nera e maglietta rosa, al centro della sala, siede a terra Sofia, con la sua insegnante, Silvia De Michele, pronte per il riscaldamento. Sofia si presenta, mi tocca il viso e mi conosce. Torna in posizione, corpo a terra, mantiene il contatto con il parquet della sala e tiene il tempo per iniziare l’allenamento. Osservo l’impegno di Sofia a distendere la schiena e ad allungare il corpo come se volesse, simbolicamente, liberarsi di tutto il peso di chi, con le sue scelte, interrompe gli scenari dell’immaginario collettivo.
Gambe divaricate, scioglimento delle spalle, distensione del collo piede, si riscalda il corpo per prepararlo alla percezione di sé e degli altri che sono con lei. L’insegnante accende lo stereo, la musica parte e Sofia chiude gli occhi: si muove seguendo la coreografia così come l’ha disegnata nelle sue fantasie, non si segue allo specchio, non ha bisogno di guardarsi. Ricorda ogni singolo passo, conosce le direzioni e sa muoversi nello spazio assoluto del buio, ha memorizzato ogni movimento come se fosse una narrazione, prima interiorizzandola per poi esprimerla e darle forma attraverso il corpo.
«Maestra sento il vento!» esclama, mentre balla nel buio della sala.
Sofia danza e scopre se stessa, e le potenzialità del suo corpo che le permettono di orientarsi e coordinarsi nel buio, danzando. Trattiene il fiato per poi lasciarsi andare completamente a quel vento che il suo ballare genera. Segue il vento a tempo e si muove nella sala, sa dove inizia lo specchio e dove si trova la sbarra imparando, lezione dopo lezione, ad avere sempre più consapevolezza di sé e del suo corpo. Ad ogni passo che impara, si riscopre e si fortifica, si ostina a superare i suoi limiti, dimenticandosi della differenza. Segue la coreografia, chiude gli occhi e, insieme con la sua compagna d’allenamento Erika, mette alla prova ogni pietismo o buonismo che, finora, le permettevano di ballare solo (e sola) nella sua immaginazione.
Sofia stupisce quando danza nel buio, ogni senso si altera e diventa funzionale al movimento, all’espressione così come al danzare. Avvolta nel buio della sua cecità Sofia, insieme alla sua insegnante, trova il suo metodo per ballare: segue il respiro di chi si muove con lei, ascolta il corpo dell’altro e presta attenzione al suono sordo dei passi che si susseguono sul pavimento di legno, entra in relazione con lo spazio e chi è presente in esso creando, così, un luogo di comunicazione e produzione sensoriale ed emotiva.
Interrompe la lezione, «Maestra proviamo la coreografia di Firenze?», per rivivere ancora il ricordo dell’emozione provata al concorso internazionale di danza a cui ha partecipato, tenutosi a Firenze, “Expression”. L’insegnante si accorge subito delle capacità di Sofia. Decide di farle provare l’emozione del palcoscenico e del pubblico, sogno di ogni ballerina. Poco tempo per montare la coreografia e impararla e una sola serata per metterla in scena, per la prima volta. Il palcoscenico, uno spazio nuovo per lei, dove, forse, il buio non è stato quello di sempre. Ora, non lo percepisce più come privazione bensì, come spazio in cui riesce a esprimersi, emozionarsi e lasciar emozionare il vasto pubblico che, finita la coreografia, la tiene stretta nell’abbraccio di un lungo applauso. Sofia vuole condividere la sua esperienza da bimba-ballerina premiata, chiedendo di mettere in stereo la base della “coreografia di Firenze”. Chiude gli occhi, prende la mano di Erika, sua compagna di coreografia, e inizia a danzare nel buio. Balla, muove il suo corpo e si emoziona. Leggo nel suo volto lo sguardo di chi è concentrata, di chi non vuole sbagliare così da dimostrare che anche se cieca, può danzare. La musica finisce, butta giù l’ultimo respiro e resta immobile, immaginandosi il suono di ogni applauso futuro.
A 8 anni, Sofia, ogni sabato mattina entra in sala per perfezionare quell’arte che ha scelto per esprimersi, per sentirsi libera di seguire il vorticare del vento del suo corpo che danza e che colora di passione il buio .
Di Emanuela Rescigno
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