Sentimmece, lo sportello gratuito di ascolto del rione Sanità

NAPOLI – Mercoledì 30 gennaio la Cooperativa Sociale ERA con Fondazione San Gennaro e le Associazioni JolieRouge e Via Nova presenteranno Sentimmece, lo sportello gratuito di ascolto dedicato ai genitori, agli insegnanti e alle famiglie del Rione Sanità.
Lo sportello sarà inaugurato con una grande festa intitolata Bonaser@Sanità: un’occasione per incontrare la popolazione del quartiere, presentare tutte le attività del progetto ThinkAbility, i laboratori di educazione digitale attivi presso l’Ipogeo di Capodimonte, gustare i fantastici dolci offerti dalla nota pasticceria Poppella, sponsor della manifestazione.
Il progetto ha tra i suoi obiettivi quello di promuovere un’ importante azione di rinnovamento socio-culturale per i giovani del quartiere, disabili e non, favorendo le relazioni interpersonali e l’inclusione sociale, sviluppando l’autonomia e accrescendo la conoscenza di nozioni di digitale e nuove tecnologie, le abilità di base oltre alla capacità di lavorare in gruppo.
I bambini e i ragazzi del quartiere durante la presentazione potranno intrattenersi in attività ludiche che, con l’impiego delle tecnologie digitali, permetteranno di imparare divertendosi.
La serata sarà allietata da canti e balli della tradizione per vivere un momento magico accompagnati dal suono della tammorra. Sarà un’esperienza unica per godersi il quartiere e per conoscere tutte le iniziative che lo rendono vivo.
Un evento da non perdere dunque. L’appuntamento è dalle ore 17.00 alle 20.00 presso la chiesa di San Severo in Piazzetta di San Severo a Capodimonte 81.
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Formare il disability manager. Striano: «Basta disabili “parcheggiati” »

NAPOLI – Formare professionisti – riconosciuti all’interno del Quadro delle Qualifiche Europee EQF – che siano in grado di operare per l’integrazione dei diversamente abili nelle imprese, nelle scuole, nelle università, facendo leva sulle loro specifiche esigenze e valorizzandone le competenze. Questo l’obiettivo del Master di Secondo Livello in “Esperto dei processi di inclusione delle persone con disabilità nei contesti educativi, formativi e professionali”, promosso dal Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università Federico II di Napoli, in collaborazione con SInAPSi, il Centro di Ateneo per l’inclusione attiva e partecipata degli studenti con disabilità, Disturbi Specifici dell’Apprendimento o difficoltà temporanee. Un percorso annuale – 1500 le ore complessive, suddivise tra lezioni teoriche e attività pratiche – rivolto a 30 laureati in possesso del titolo Magistrale, provenienti da diversi ambiti disciplinari (Giurisprudenza, Scienze delle Professioni Sanitarie della Prevenzione, Ingegneria Biomedica, Programmazione e Gestione dei Servizi Educativi, Psicologia, Scienze dell’Economia, Scienze delle Pubbliche Amministrazioni, Scienze Filosofiche, Scienze Pedagogiche, Servizio Sociale e Politiche Sociali, Sociologia e Ricerca Sociale), che saranno selezionati in base al curriculum.

L’INTERVISTA – «Spesso i disabili, assunti in un contesto pubblico o privato, non si integrano in maniera efficace oppure vengono semplicemente ‘parcheggiati’ in un posto senza avere incarichi reali – spiega Maura Striano, docente di Pedagogia della Federico II, direttrice del Centro SInAPSi e coordinatrice del Master –. Una figura che ancora oggi manca nel mondo del lavoro è quella del disability manager, colui che è in grado di accompagnare nelle aziende la persona con disabilità, per farla diventare risorsa e capitalizzare al massimo le sue competenze, le sue capacità, nella logica di quello che Amartya Sen definiva capability approach».
Gli sbocchi occupazionali vanno dal monitoraggio e dalla progettazione di piani di inclusione per enti, istituti, organizzazioni attive nel campo dell’educazione alla formazione, all’orientamento e all’accompagnamento al lavoro, fino alla selezione e gestione delle risorse umane in contesti occupazionali pubblici e privati. «Il Master formerà disability manager per le aziende ed esperti di inclusione per le istituzioni scolastiche e le università». Gli stage saranno svolti in collaborazione con FISH Campania, la Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap: «I corsisti si interfacceranno con disabilità di vario tipo: psichica, motoria, sensoriale. Lavoreranno con la persona disabile per fare il bilancio delle competenze e percorsi di accompagnamento – aggiunge Striano –. Abbiamo realizzato anche un partenariato con l’Inshea di Parigi, che è l’istituto nazionale di ricerca sull’handicap, all’interno del quale sono presenti figure interdisciplinari; in particolare noi ci avvaliamo di sociologi, che si occupano delle rappresentazioni sociali della disabilità e di scardinare gli stereotipi legati ad essa».

di Paola Ciaramella

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Castelnuovo. Morcone (Cir): “Il centro andava chiuso, ma non così”

ROMA – Al 1° gennaio 2018 erano 183 mila le persone in accoglienza in Italia, un anno dopo sono 103 mila. Una tendenza in diminuzione anche per il calo delle domande di asilo presentate. I dati sono stati resi noti ieri dal ministro dell’Interno Matteo Salvini che ha ribadito il suo impegno a chiudere tutti i grandi centri di accoglienza. “E’ necessario -chiuderli ed ospitare gli immigrati in centri più piccoli, più controllabili e la cui gestione risulta più efficace e trasparente” ha detto. L’esempio è quanto già avvenuto in Veneto, con i centri di Cona e Bagnoli, e a Castelnuovo di Porto, dove in questi giorni si sta portando avanti, tra le polemiche, il trasferimento delle persone presenti in altre regioni italiane. Lo sgombero deI centro di Castelnuovo di Porto, che dista circa 25 chilometri da Roma, rientra nelle misure annunciate dal ministro Salvini, che, tra le altre cose, prevede il progressivo svuotamento dei Cara (centri di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati) in Italia. Come ha precisato lo stesso Salvini, il prossimo sarà quello di Mineo, in Sicilia, poi toccherà a quelli di Bologna, di Bari e di Crotone, che in totale ospitano circa 6.000 richiedenti asilo.

Il Centro di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) è una struttura in cui vengono accolti i migranti che intendono chiedere la protezione internazionale. I Cara sono stati istituiti a seguito della riforma del diritto di asilo, conseguente al recepimento di due direttive comunitarie (DPR 303/2004 e D.Lgs.28/1/2008 n.25). Sono gestiti dal ministero dell’Interno attraverso le prefetture, che appaltano i servizi dei centri a enti gestori privati attraverso bandi di gara. Le convenzioni variano e lo Stato versa all’ente gestore una quota al giorno a richiedente asilo. Con quella cifra devono essere garantiti l’alloggio, i pasti, l’assistenza legale e sanitaria, l’interprete e i servizi psico-sociali. Secondo il decreto legislativo n. 142 del 2015, i Cara dovevano essere convertiti in “centri governativi di prima accoglienza” e sostituiti dai centri governativi per richiedenti asilo a livello regionale o interregionale, i cosiddetti Hub previsti dalla Roadmap italiana. In realtà anche per la mancanza di posti nelle strutture ordinarie, sono diventati una modalità ordinaria di prima e seconda accoglienza.

Quello alle porte di Roma è il secondo Cara d’Italia, dopo Mineo, per numero di posti disponibili. Il centro è attivo dal 2008 in uno stabile di proprietà dell’Inail di 12 mila metri quadri. Nel 2016 era diventato anche il principale hub italiano per la relocation, il programma europeo di ricollocamento. Dal 2014 è gestito dalla cooperativa Auxilium e sorge vicino al fiume Tevere. “In realtà il Cara di Castelnuovo di Porto era da tempo nella modalità di essere sgomberato, perché si trova in una zona alluvionale. Al di là dei costi di affitto, non sarebbe stato possibile rinnovare il contratto, perché gli organi di controllo non lo avrebbero fatto passare come centro adatto all’accoglienza di persone, proprio per il rischio ambientale – sottolinea Mario Morcone, direttore del Cir (Centro italiano rifugiati) ed ex capo del Dipartimento Libertà civili e immigrazione del ministero dell’Interno -. Il problema sono le modalità: bisognava procedere sentendo le ragioni delle persone, sistemare diversamente chi aveva i bambini a scuola e chi aveva un lavoro in zona. Bisognava cioè trovare delle soluzioni consone per queste persone”. Il sindaco di Castelnuovo di Porto, Riccardo Travaglini ha detto di non aver ricevuto nessuna comunicazione ufficiale dal ministero dell’Interno in merito alla chiusura. “Questa non è la procedura normale – aggiunge Morcone -. Tutto questo andava fatto di concerto con il sindaco e la comunità locale, ragionando insieme per salvaguardare i diritti delle persone. Questa è la cosa brutta che si sta verificando. Si doveva gestire diversamente la situazione, questo è il problema. Questa ormai è una politica della sofferenza che tende a far capire che le persone non saranno aiutate. Non si stanno trattando oggetti o numeri ma persone. In questi casi si devono trovare mediazioni giuste senza distruggere le aspettative e le speranze di queste persone”.

I trasferimenti continueranno fino al 30 gennaio e le persone saranno spostate in strutture più piccole in diverse regioni: Abruzzo, Basilicata, Molise, Campania, Marche, Piemonte, Lombardia, Toscana, Umbria ed Emilia Romagna. “L’altro problema sono le persone che rischiano di restare per strada e che non troveranno accoglienza da nessuna altra parte” aggiunge Morcone. Secondo il decreto Salvini infatti i titolari di protezione umanitaria non hanno diritto a rimanere nelle strutture di accoglienza. E, nel centro di Castelnuovo di Porto ce n’erano circa un centinaio su 500 presenze totali. “Il problema è che queste persone rischiano di finire su una panchina della stazione”.

Infine, ci sono circa 120 persone che rischiano il posto di lavoro. “Sono monoreddito e ho un figlio all’università, se perdo il lavoro non so come mantenerlo né come pagare l’affitto di casa. Nessuno ci sta dando rassicurazioni sul nostro futuro, ma è quasi sicuro che diventeremo tutti disoccupati – spiega Dora Mangione, un’operatrice socioassistenziale che lavora nella struttura -. Nella mia stessa situazione ci sono altri colleghi che hanno bambino piccoli e un mutuo da pagare. Il decreto sicurezza sta creando un disagio sociale assoluto, sta creando disoccupati. Dov’è il prima gli italiani? Qui ci tolgono il pane di bocca. E’ una cosa vergognosa”. Oggi i lavoratori del Cara sono in presidio sotto il ministero dello Sviluppo Economico. (ec)

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“Tre anni senza Giulio Regeni”. Amnesty in piazza per chiedere la verità

ROMA – Di Giulio Regeni, il giovane ricercatore di Cambridge al Cairo per svolgere una ricerca sui sindacati locali, le tracce si perdono il 25 gennaio del 2016. Quel giorno la famiglia perse i contatti col ragazzo, il cui corpo sarà ritrovato solo il 3 febbraio successivo sul ciglio dell’autostrada che collega il Cairo ad Alessandria, con evidenti segni di tortura. La vicenda, che ha finito per chiamare in causa direttamente i servizi di sicurezza e la polizia egiziana, in un delicato gioco delle parti tra i governi del Cairo e di Roma, è lungi dall’essere risolta.

A tre anni di distanza, l’ong Amnesty International ha lanciato un’iniziativa che porterà in oltre 100 piazze d’Italia delle fiaccole alle 19.41, orario della scomparsa di Giulio, per chiedere ciò che in questi tre anni è diventato il motto della battaglia dei Regeni: “Verità e giustizia”.

L’ong internazionale, così come molte altre anche in Egitto, denuncia la pratica delle autorità egiziane di rapire, torturare e poi uccidere chiunque esprima una posizione contraria a quella del governo, un ‘modus operandi’ che secondo alcuni osservatori sarebbe peggiorato con l’arrivo al governo di Abdel Fattah Al-Sisi.

L’obiettivo secondo gli esperti sarebbe scongiurare nuove ondate di dissenso popolare, come quelle che nel 2011 causarono la fine del regime trentennale di Hosni Mubarak. Gli osservatori denunciano anche un clima di omertà e connivenza che porta le istituzioni, la magistratura e le forze dell’ordine a coprire i crimini commessi da polizia ed esercito.

“Solo nel dicembre 2017 – fa sapere Amnesty – l’avvocata della famiglia Regeni è riuscita a farsi dare dei documenti dalla procura locale recandosi direttamente al Cairo mentre non sono ancora disponibili le immagini riprese il 25 gennaio 2016 dalle telecamere a circuito chiuso installate nella zona in cui Giulio Regeni scomparve”.

A confermare che il problema è reale, c’è l’ultimo report del Gruppo di Lavoro delle Nazioni Unite sulle sparizioni forzate e involontarie (Wgeid), secondo cui i “casi urgenti” al momento sarebbero 173, mentre altri 285 non sarebbero ancora stati analizzati. Secondo il Committee for Justice – un osservatorio indipendente sui diritti umani che segue i Paesi di lingua araba – tra agosto 2017 e agosto 2018 le sparizioni di studenti, blogger, giornalisti e attivisti in Egitto avrebbero raggiunto le 1.989 unità.

E’ proprio di questi giorni la notizia della liberazione di Mona Mahmoud Mohamed, una donna arrestata dopo aver denunciato all’emittente britannica ‘Bbc’ che la figlia, Zubeida Ibrahim, è stata rapita e quindi violentata dalle forze di sicurezza egiziane. La giovane era già stata sequestrata l’anno precedente per 28 giorni: una volta tornata a casa, i familiari avevano constatato non solo i segni di una violenza sessuale ma anche dell’elettroshock.

La madre della ragazza – che con la figlia aveva già subito nel 2014 torture in carcere per aver preso parte a una manifestazione – è stata accusata di aver diffuso false notizie e di appartenere a un gruppo terrorista. Sebbene sia tornata in libertà, deve recarsi in commisariato due volte la settimana, e ancora rischia di subire un processo per terrorismo.

Un caso analogo riguarda quello di Amal Fathy, la moglie del consulente legale in Egitto della famiglia Regeni: Amal è stata condannata a due anni di carcere per aver denunciato in un video di aver subito molestie sessuali da parte delle forze di sicurezza, una piaga che viene confermata da molteplici associazioni per i diritti delle donne nel Paese. Ma per il marito, Mohamed Lofty, si tratterebbe anche di un modo per colpire lui e il suo lavoro per i Regeni.

«Agenzia DIRE» – www.dire.it

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