Un pozzo d’acqua all’interno a Bunda, in Tanzania, Paese dell’Africa orientale, in memoria delle vittime innocenti di mafia. È quanto realizzato, insieme all’associazione Africa in Testa, da Emanuela Sannino figlia di Palma Scamardella, anch’essa uccisa a Pianura dalla camorra con cui però non ha mai avuto nulla a che fare. Il pozzo d’acqua nel villaggio Saint Francis è dedicato a Palma Scamardella, Gaetano Montanino, altra persona uccisa dalla criminalità organizzata, e a tutti quelli che hanno perso la vita in modo tragico.

Il grande cuore di Emanuela 

Emanuela, che aveva soltanto 15 mesi quando sua madre venne barbaramente uccisa il 12 dicembre del 1994, spiega: «Il progetto del pozzo in Africa, nasce da un pensiero che poi abbiamo scoperto comune mio e di Lucia, la vedova di Gaetano Montanino. Siamo da sempre il sostegno l’una dell’altra, e lo siamo state anche in questo progetto». L’idea di dare una speranza di vita alla comunità di Bunda costruendo un pozzo d’acqua sui valori della legalità arriva dopo un’esperienza da volo da parte di Emanuela, che presiede l’associazione che ricorda sua madre. «L’anno scorso mi sono regalata un’esperienza di volontariato in Africa, per il mio 31º compleanno. Volevo vivere la realtà di quei luoghi – afferma Sannino –  affinché quelle anime potessero aiutarmi a dire “grazie”, nonostante tutto». Emanuela sente di dire «grazie soprattutto a mia mamma vittima innocente di camorra a Pianura, certa che mi accompagni in ogni passo e sostenga in ogni caduta». Emanuela Sannino persegue con perseveranza l’obiettivo nel corso dell’anno, fino al raggiungimento dello scopo. Racconta ancora la figlia di Palma Scamardella: «Rientrata a Napoli, ho contattato nuovamente Franco Testa, allora presidente dell’associazione Africa in Testa Con cui sono partita (oggi il ruolo è ricoperto da sua moglie, Adele Gigante, anch’ella sempre in prima linea per quei bambini). Franco ci ha messo in contatto con Fabio Famiano, volontario dell’associazione, affinché questo sogno potesse prendere forma. E così è stato».

L’attivazione del pozzo

Ed ecco all’oggi, all’inaugurazione recente del pozzo d’acqua a Bunda assolutamente indispensabile per il sostentamento degli abitanti del villaggio Saint Francis abitato, afferma Adele Gigante, attuale presidente dell’associazione Africa in Testa e moglie di Franco Testa. «è gestito dalle piccole missionarie eucaristiche. Al suo interno vivono 70 bambini, di questi diciotto sono albini. Il villaggio è una scuola primaria che è gestito totalmente dalle suore e i proventi derivano dal 5×1000 sostenuto da Africa in Testa». All’ingresso del villaggio c’è una targa affissa su cui si legge: “Che sia oggi e sempre a Palma Scamardella, Gaetano Montanino e a tutte le vittime innocenti di camorra’’. Emanuela Sannino ha la gioia nel cuore, così come i volontari di Africa in Testa. «Ognuno, in questa storia, ha avuto un ruolo importante: ci siamo fidati, ci siamo sostenuti e abbiamo creduto in un sogno comune, che pian piano è diventato realtà. Questo pozzo nasce dal dolore trasformato in impegno. Dal bisogno di dare un senso a ciò che ci è stato tolto. È il simbolo di un amore che resiste, che sceglie di costruire, di unire, di donare. Come familiari, sappiamo cosa significa cercare giustizia e dignità. Oggi, in memoria dei nostri cari, abbiamo scelto la vita: perché l’acqua che scorre parli anche di loro, e della nostra forza silenziosa che non si arrende» conclude Emanuela. Emozionato anche Franco Testa della stessa Africa in Testa. «L’emozione è inspiegabile. Nulla nasce per caso. Sono felice per quanto fatto dai volontari. Che le vittime innocenti di camorra possano riposare in pace, che possa arrivare a loro il flusso di energia per quanto costruito grazie all’impegno di tutti i promotori».

 Palma Scamardella e Gaetano Montanino

Il 12 dicembre del 1994 Palma Scamardella ha appena pranzato a casa di sua madre al piano di sotto della palazzina di Pianura dove abita con suo marito e sua figlia Emanuela, di soli 15 mesi. La donna ritorna momentaneamente a casa sua per recuperare un effetto personale lasciando Emanuela in braccio alla nonna. È allora che si materializzano due sicari che avevano l’obiettivo di colpire Domenico Di Fusco, fedelissimo dei fratelli Lago ed esponente di spicco dell’omonimo clan con base proprio nel quartiere occidentale di Napoli, che abita proprio nella palazzina adiacente. I killer sbagliano obiettivo mentre sono appostati su delle scale che separano i due edifici: i loro spari non colpiscono la vittima designata ma l’incolpevole Palma, raggiunta alla testa da pallottola calibro 9. La donna muore sul colpo in una pozza di sangue. Per quella tragedia la giustizia non riuscirà ad individuare né gli esecutori materiali né tantomeno i mandanti. Gaetano Montanino, di professione guardia giurata, viene ucciso a 45 anni il 4 agosto del 2009 in piazza Mercato, nel centro di Napoli. Insieme ad un collega più giovane, il 25enne Fabio De Rosa, Montanino tenta di non cedere alla minaccia di quattro rapinatori che volevano sottrarre loro le armi d’ordinanza destinandole, dirà poi una sentenza della Corte di Assise di Appello di Napoli, al clan Mazzarella. Gaetano, rifiutando come il collega di cedere la pistola, viene raggiunto da 7 colpi di pistola sparati dai malviventi che non gli lasciano scampo. Il collega sarà ferito da 6 proiettili non ledendo però organi vitali. Saranno due le condanne a vent’anni di reclusione (nel 2012) per l’omicidio: due giovani individuati grazie anche alla testimonianza del collega De Rosa. Gaetano Montanino, nel 2013 sarà riconosciuto “vittima del dovere’’ con decreto del Capo di Polizia n. 599/c/3/GG/34.

di Antonio Sabbatino

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