Non fece in tempo a iniziare la messa delle 7,30: pochi minuti prima un uomo entrò in sacrestia, lo chiamò per nome e sparò senza pietà quattro colpi, due in faccia e due al petto. Morì così don Giuseppe Diana, parroco della chiesa di San Nicola di Bari a Casal di Principe. Era il 19 marzo del 1994. Trent’anni dopo, il suo esempio di sacerdote e cittadino messaggero di pace e legalità viene ancora ricordato, simbolo di un territorio che ha cercato (e per certi versi ancora cerca) un riscatto nel nome delle rispetto delle regole.

IL RICORDO – Del resto, la morte di don Peppe ebbe subito una risonanza nazionale. Ai funerali parteciparono migliaia di persone e don Antonio Riboldi, allora vescovo di Acerra, celebrò le esequie, dicendo: “Il 19 marzo è morto un prete, ma è nato un popolo”. Anni prima, don Peppe aveva lanciato un forte messaggio contro la cultura camorristica, che lui stesso definiva la “dittatura armata” della malavita verso i più deboli, con il documento Per amore del mio popolo. Pagò nel 1994 per il suo impegno chiaro e costante contro la criminalità organizzato.

LA MARCIA –  Oggi, per ricordare don Peppe a trent’anni dalla morte, si tiene una marcia per le strade di Casal di Principe. Partecipano studenti, scuot, amministratori pubblici, esponenti del mondo del volontariato e della società civile. Tantissime le adesioni. Tra queste, quella delle Acli di Caserta, che in un comunicato hanno sottolineato come “il ricordo di Don Peppe Diana ha continuato a essere un richiamo alla giustizia sociale, alla solidarietà e al coraggio di combattere le ingiustizie”. Ma le iniziative per il trentennale proseguono anche nei prossimi giorni: giovedì 21 Marzo, a partire dalle ore 9.30, il CSV ASSO.VO.CE. ETS promuove un incontro con le scuole del territorio per ricordare la figura di don Peppe  e invitare i più giovani a riflettere sul valore della legalità. L’iniziativa, ad ingresso libero e gratuito fino ad esaurimento posti, si svolgerà presso il teatro comunale di Caserta in via Mazzini.

L’EDITORIALE – Oggi, sulle pagine del Corriere della Sera, è intervenuto anche Roberto Saviano, con un editoriale profondo ma anche ricco di amarezza: “E allora mi viene da domandarmi quali scampoli di questa nostra umanità votata alla contemplazione del martirio debbano ancora essere sacrificati sull’altare dell’indifferenza, sul patibolo della calunnia, sulla schifosa gogna dell’infamia, perché qualcosa muti davvero”, si è chiesto lo scrittore nel suo articolo.

di Francesco Gravetti

 





 

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