ROMA – «Così, la cosa che più lo indispettiva era il fatto che fossi una donna!». Ebbene sì. Le donne saudite non sono viste di buon occhio dai loro mariti, e nemmeno dai loro fratelli e talvolta dai padri. Ce lo racconta Hind, la protagonista di “Profumo di caffè e cardamomo” (Atmosphere libri), un romanzo che può considerarsi un diario denuncia data la descrizione di costumi e luoghi che per le donne di Riyadh equivalgono alla clausura. Non sorprenderebbe se Hind fosse l’alter ego di Badriya al – Bishr, autrice del testo, nativa della stessa città in cui è ambientata la storia, nonché firma della famosa testata giornalistica Al Hayat. Sin dai primi anni, la vita della protagonista è molto dura e segnata dal difficile rapporto con la madre Hyla. Donna intransigente e autoritaria, ma soprattutto ammaestrata all’odio da un destino che l’ha strappata all’infanzia – quello di sposa bambina – Hyla è incapace di provare sentimenti di affetto, men che meno verso le figlie femmine. L’unica luce dei suo occhi è rappresentata dal primogenito Fahd, che pure scapperà alla sua violenza, al suo volerlo e immaginarlo nuovo capofamiglia alla morte del padre Uthman. Più volte, nel corso degli anni, Hyla proverà a corromperne la naturale gentilezza aizzandolo contro le proprie sorelle, fallendo miseramente e alimentando giorno dopo giorno il suo desiderio di fuga verso il Canada.
Intanto, Hind crescerà con il vuoto vertiginoso che l’assenza delle cure materne ha provocato. E, ciononostante, non rinuncerà al moto di ribellione tipico di chi nasce sotto una diversa stella. Giocherà con i bimbi maschi sebbene le sia proibito, sognerà di inverosimili amori adolescenziali e imparerà a nasconderlo bene nella cella dei suoi pensieri: la temibile Hyla, notandone l’espressione assorta, potrebbe nuovamente carpirne i segreti e tirarle i capelli fino a staccarle intere ciocche di treccia. Per ogni disubbidienza, Hind affronta una punizione che Hyla ritiene esemplare, come quando scoperta la sua tresca con un giovane del posto – una tresca fatta di sole parole e sguardi – la rinchiuderà per giorni in un angolo della casa, obbligandola al digiuno. Torture fisiche, queste, che si aggiungono alla pazzia della tortura psicologica delle storie: come quella del «ladrone nero unto» che Hyla utilizza per indurre le figlie a evitare il «castigo del fuoco» con cui Dio trasforma i corpi, sciogliendoli. Come se non bastasse, non saranno sufficienti il coraggio e la voglia di libertà a evitare il matrimonio forzato che Hind dovrà contrarre con il cugino Mansur. Uomo freddo e guardingo, Mansur osteggerà la passione di Hind per la scrittura, proibendole di pubblicare i propri articoli sui giornali; né accetterà la venuta della figlia May, primogenita con la sola colpa di non essere nata maschio.
Sottomissione, lotta, conquista dei propri diritti saranno le prove che Hind dovrà affrontare in una città dove ancora oggi si muore per lapidazione. In una società conservatrice dove il governo degli uomini spadroneggia, mentre «le donne li guardano affamate, oppresse da tradizioni scritte sin dall’inizio dei tempi, create da altri». Dove persino il terrorismo, che coinvolgerà un altro fratello, il violento Ibrahim, è un buco nero che risucchia tutti quelli che non hanno avuto la fortuna di conoscere la gioia; e che credono, come dimostrano i fatti di Parigi, che la vendetta e lo spargimento di sangue siano il giusto compenso per un mondo crudele e privo di amore.
di Francesca Coppola