NAPOLI – Le domande dei genitori e della Federconsumatori sono tante. Riguardano la vita dei bambini. Le abbiamo poste ad Alessandro Nanni Costa, dirigente del Centro Nazionale Trapianti che è reggente anche del DIT Dipartimento Interaziendale Trapianti della Regione Campania.

“La prima cosa da dire è che il Monaldi non è un centro specifico per i trapianti infantili come il Bambin Gesù- precisa subito Costa -, e credo che sia l’unico in Italia, ma è un centro in cui sono operati gli adulti che accoglie anche i bambini. Quindi con piccoli numeri faceva anche un’attività pediatrica nell’ambito dell’attività adulta. Aveva l’autorizzazione al trapianto adulto: operava solo pochi casi l’anno di bambini in più negli ultimi anni il centro non era adeguato a svolgere i trapianti infantili. Per fare trapianti bene e avere una casistica ci vogliono 4-5 trapianti all’anno. Al Monaldi il massimo numero di trapianti all’anno è 3, quindi sono pochi. C’è una regola in sanità che è quella dei numeri. Più è alto il numero dei casi maggiore è la qualità. Un bambino all’anno non giustifica l’esistenza di un centro: con un’attività così bassa meglio chiuderlo”.
Ma per i genitori, ovviamente, un bambino che vive e un bambino che muore non può essere un numero. E non sono numeri Simon e Massimo o Irene e Checco.
Come abbiamo già visto nell’arco temporale 2000/2013 il Centro Nazionale Trapianti sulla base di 13 follow up (ovvero le schede pervenute) del Monaldi ha calcolato che la sopravvivenza dei bambini trapiantati è stata del 92,3%.
“I dati mostrano che il centro ha funzionato bene fino al 2013 – risponde il direttore del Centro Nazionale Trapianti-, dal 2013 in poi la sopravvivenza non è stata più quella, perché un centro per mantenere nel tempo i risultati deve avere capacità professionali specifiche che non c’erano. Il Monaldi ha avuto un’attività ridotta, visto che la mortalità è aumentata sia in lista d’attesa sia nel pre trapianto che nel post trapianto il centro dava delle performance ridotte per poter continuare ad operare”.
“Eppure, nonostante solo oggi apprendiamo dai responsabili che non fosse adeguato, il centro esisteva e c’erano cardiochirurghi che hanno operato con successo fino a che non sono stati spostati altrove”, sottolineano i genitori.
“Il cardiochirurgo pediatra deve avere due competenze- spiega Nanni Costa-: deve saper operare sia sulla grave insufficienza, ovvero sulla dilatazione, sia sulla malformazione poiché le cardiopatie nei bambini sono soprattutto di origine congenita. Il bambino congenito è un bambino piccolino e tra 2002 e 2012 i bambini trapiantati sotto i 6 anni al Monaldi sono stati solo 2 in 11 anni, quindi è un centro che ha trapiantato bambini tra i 7 e i 17 anni. Un cardiochirurgo che non sa operare le malformazioni congenite non è un cardiochirurgo pediatra. Infatti a Napoli per operare era necessaria la presenza di due medici: un cardiochirurgo infantile e un esperto di trapiantologia perché mancava un medico che avesse entrambe le competenze e fosse capace da solo di operare i malformati”.

Esisteva una lista d’attesa in cui dal 2002 al 2015 ci sono stati 41 bambini. Perché non si è agito prima visto che “mancavano le competenze necessarie”?

“Già c’era in programma di intervenire. L’intervento di Federconsumatori ha solo velocizzato i provvedimenti. Da quando dalla fine del 2013-2014 ci siamo resi conto che mancava la figura esperta fu deciso di fermare i trapianti ai bambini sotto i 2 anni che sono quelli più delicati”.

di Alessandra Del Giudice

LEGGI L’INCHIESTA

 
Prima parte: L’ASSISTENZA AI TRAPIANTI PEDIATRICI SI È FERMATA A NAPOLI

Seconda parte: OTTO ANGELI IN DUE ANNI

Terza parte: LA STORIA DI IRENE

Quarta parte: “IL DIRITTO AD UN’ASSISTENZA DI QUALITA’”

Quinta parte: POCA TRASPARENZA, TROPPA BUROCRAZIA: COSÌ LA QUERELLE TRAPIANTI SI INGARBUGLIA ANCORA DI PIÙ

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