Eric si sente solo. Eric è solo. A fargli compagnia c’è soltanto una sigaretta che non sa fumare, il bruciore che gli raschia la gola, e la casa disabitata in cui vive da moltissimo tempo. Affetto da ansia sociale, Eric comincia a rifiutare qualsiasi contatto con il mondo esterno all’età di diciassette anni, rinchiudendosi nella sua cameretta dove, poco a poco, non permette più a nessun membro della famiglia di mettere piede.

Scritto da Ismaela Evangelista e pubblicato da Les Flâneurs Edizioni, “La stanza di Eric” – questo il titolo del romanzo – affronta il tema del disagio e della vergogna che attanaglia molti giovani adolescenti e che, almeno una volta, nella vita, ha messo in difficoltà ognuno di noi. Da ragazzo bellissimo e promettente il protagonista, Eric, appunto, si trasforma in uomo violento e scostante, che dalla finestra della sua stanza guarda il mondo fuori, la vita che scorre, senza che per se stesso, per la sua esistenza, possa avvenire qualcosa di simile, un episodio degno di nota.

Voce narrante, pagina dopo pagina Eric ripercorre la sua storia in una lunga analessi che si spezza solo per dare spazio, di volta in volta, agli eventi del tempo presente: la sua condizione di trentacinquenne deformato nell’anima e nel corpo, incurante dell’aiuto offertogli dall’ormai adulta sorella, Emma; lo stesso aiuto che anni addietro ha rifiutato dai propri genitori. Ed è sul parquet della camera da letto di questi ultimi che inginocchiato, seppur dolorante, prende a scrivere le proprie memorie dopo averne distrutto interamente, con un’ascia, il mobilio. Quella di Eric sembra quasi una volontà di cancellazione, un voler fare spazio nel vuoto dell’incomprensione, dare un senso al dolore sordo che sembra debba esplodere da un momento all’altro: «Ero in tensione, come quando si è in attesa del singhiozzo che poi non arriva». Neanche sua madre, Lucia, riesce a fargli cambiare idea, a strapparlo alla stanza maledetta in cui ha scelto di trascorrere il resto dei suoi giorni. Non ci riesce nemmeno quando, la notte della vigilia di Natale, pur di stargli accanto prova ad accoccolarsi in una coperta sistemata alla meno peggio sul pavimento, ai piedi del letto del figlio che ha cresciuto con amore misto a preoccupante onnipresenza: «Mia madre non aveva ancora capito niente. Ma proprio niente di niente. Io avevo deciso il mio suicidio sociale».

Il reparto di psichiatria, l’istinto suicida, l’entrata in scena della psicologa Bianca, il ricordo degli anni sereni dell’infanzia segnano le tappe di un’esistenza fragile, tormentata, privata dei pochi, veri bisogni: quello di essere sinceramente abbracciato da un padre troppo dedito al lavoro e per niente alla famiglia; quello di essere rassicurato da professori che si rivelano troppo freddi, e che nulla hanno in comune con la dolcezza della maestra delle elementari, la maestra Pina. Quello, infine, di essere accettato nonostante le debolezze, le paure, i blocchi psichici: «La verità è che mi manca qualcuno a cui manco. Do le spalle al mondo, alle creature, al creatore, alla mia stessa casa».

“La stanza di Eric” è la storia di molti giovani che preferiscono la reclusione alla lotta per la vita pur di non sentirsi schiacciati da una società che non perdona chi è diverso, chi fa fatica a integrarsi perché particolarmente emotivo ma – è importante ricordare – a suo modo, speciale. Ismaela Evangelista, Psicologa Psicoterapeuta, affronta il tema dall’alto della sua professione, lanciando un messaggio significativo: un amorevole figura di riferimento che affianchi il paziente può migliorarne la condizione, alleggerirne il male di vivere, consegnargli una speranza quando l’unica prospettiva futura sembra essere un vicolo cieco.

 

di Francesca Coppola

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