NAPOLI – L’integrazione può passare attraverso quattro calci ad un pallone. Primi passi che poi diventano una partita di calcio. E poi una stagione di un campionato amatoriale. E ancora la promozione nelle serie minori del calcio professionistico. Questa è la storia di molti calciatori che sono passati e militano nell’Afro-Napoli United, squadra di calcio con base a Napoli, ma la cui composizione multietnica si arricchisce ogni giorno sempre più. Nata nel 2009 dall’idea di Antonio Gargiulo, Sow Hamath e Watt Samba Babaly, amici che sgambettavano assieme nelle partitelle infrasettimanali, in pochi anni la favola della squadra multietnica è diventata una felice realtà del calcio italiano. Un esempio di integrazione e lotta al razzismo che supera qualsiasi forma di comunicazione. Ragazzi che sgambettano, corrono appresso ad un pallone su dei campi impolverati di periferia. Un gol. Un sorriso. Un abbraccio. Un messaggio concreto ed importante che abbatte ogni barriera. Oggi, a pochi di distanza da quela partenza quasi improvvisata, la società ha raggiunto importanti risultati. la principale dorsale multietnica oggi è composta dai giovani che militano nella formazione amatoriale che partecipa al torneo Fcs, competizione da cui tutto era partito e che è stata rimessa in piedi nel settembre dello scorso anno. Questa formazione è composta ad oggi di trenta elementi di diciassette nazionalità differenti. Dagli italiani agli inglesi a rappresentare il continente europeo, ai boliviani e peruviani per il sud America. Dagli africani dela Costa D’Avorio agli asiatici dello Sri Lanka. E ancora calciatori da Ecuador, El Salvador, Paraguay, Perù, Capo Verde, Gambia, Ghana, Guinea, Ghana, Mali, Senegal, Togo, Tunisia. Tra di loro ci sono migranti arrivati con i barconi. Qualcuno di questi ragazzi sarà anche transitato nelle immagini di qualche tv che mandano in ond gli sbarchi. Finiti poi nei centri di prima accoglienza e poi arrivati, attraverso dei provini, tra le fila dell’Afro-Napoli.

«Chi si affeziona resta a giocare con noi», racconta Guido Boldoni, tra i responsabili, assieme ad Armando Cafiero, Umberto Cacace e al preparatore dei portieri Pasquale Matino, della squadra che disputa il tornero Fcs. «Tra questi ragazzi – prosegue Boldoni – ci sono ex prigionieri politici arrivati attraverso la rotta che passa dalla Libia. C’è chi ha lasciato i genitori in Ghana ed è venuto qui col fratello in cerca di un futuro». Tra queste storie c’è quella di Abubakar Sillah, difensore centrale del Ghambia. «Ho lasciato il Gambia tre anni fa», racconta Abubakar, il quale aggiunge che «dopo aver attraversato il deserto ho passato quasi un anno in prigione in Libia. È stato terribile. Ho sofferto tanto e ho visto tante persone e amici morire. Raggiungere l’Italia è stata la mia salvezza. Io voglio solo giocare a calcio». Il calcio per questi ragazzi è diventata una ragione di vita. Non è solo una forma di aggregazione e di integrazione. Per molti è l’unica parte felice della giornata. Per altri un’evasione dalla realtà. Per altri ancora un sogno. Quello di poter diventare come i propri beniamini del calcio internazonale. Per tutti è comunque una realtà. Anche perchè con i piedi ci sanno fare e si tolgono anche molte soddisfazioni ogni domenica. Il calcio è però anche un mezzo che offre opportunità di apprendimento sociale e di sviluppo di competenze trasversali. Sul campo la squadra ha vinto la coppa di lega, ha raggiunto il secondo posto nel torneo campano di calcio a 7 ed è semifinalista del campionato Fcs.

di Ciro Oliviero

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