bambinoNAPOLI- Luca ha 5 anni e la sua pelle è sottile e fragile come le ali di una farfalla. Dalla nascita, infatti, deve fare i conti con una malattia genetica molto rara, l’Epidermolisi Bollosa, una patologia che provoca bolle e lesioni della pelle e delle mucose interne. Questa malattia, conosciuta proprio come Sindrome dei bambini Farfalla, colpisce nel mondo un bambino su circa 17mila nati mentre in Italia si registra un caso ogni 82mila nascite. Luca ama cantare e insieme alla sua mamma cerca di condurre una vita normale, nonostante la malattia e i pregiudizi. A settembre ha deciso di iscriversi a scuola, «è stata una battaglia importante, che siamo riusciti a vincere», racconta sua madre, Cinzia Pilo, una donna di 41 anni che solo cinque anni fa  ha scoperto cosa fosse l’Epidermolisi Bollosa. Oggi Cinzia è presidente di Debra Italia e Debra International, associazioni senza scopo di lucro che finanziano progetti di ricerca specifici sulla Sindrome dei bambini Farfalla, favoriscono lo scambio di conoscenze tra i medici ed offrono sostegno ai malati ed alle loro famiglie. «Il mio bambino è molto contento di andare a scuola, viene invitato alle feste di compleanno dei suoi compagni. I bambini così piccoli sono incredibili, loro non vedono alcuna differenza. Hanno imparato a interagire con mio figlio e sanno che lui ha pelle delicata. E’ perfettamente integrato». Circostanza che non si verifica fuori dalle mura scolastiche. «L’Epidermolisi Bollosa – racconta Cinzia – è una malattia molto visibile, insieme alle bolle, si vedono fasce e bende. Quando cammino per strada con mio figlio mi accorgo che viene fissato continuamente. Qualcuno ha finito addirittura per chiedermi se lo maltrattassi o se avesse subito un’ustione. Non capiscono perché nessuno conosce questa patologia».

Luca soffre di una forma molto grave di Epidermolisi Bollosa, l’EB distrofica, che causa, oltre alla rottura della pelle, anche la completa chiusura delle mani. Le dita dei bambini si uniscono gradualmente e poi si chiudono, provocando, nei casi più gravi, la completa perdita dell’uso delle mani sin dalla tenera età. «Per questo mio figlio ha dovuto già subire tre interventi nonostante sia così piccolo. Ovviamente – dice Cinzia – si tratta di operazioni complesse, invasive e molto dolorose. Alcuni ragazzi, proprio a causa del dolore provato dopo il primo intervento, piuttosto che subire una seconda operazione, scelgono di arrendersi al fatto che non potranno mai più usare le mani. Gli interventi, poi, devono essere continui perché i sintomi ricompaiono». Ogni giorno Cinzia deve preoccuparsi di cambiare le medicazioni a suo figlio, un’operazione che può durare fino a due ore.  «Quest’attività – spiega – viene compiuta quasi sempre dai familiari del paziente. E’ un’operazione che impatta molto sullo stile di vita delle persone». La stessa cura deve essere usata in occasione dei pasti. La sindrome, infatti, colpisce anche l’esofago che si restringe fino ad occludersi. Le pareti della bocca, poi, sono delicate al pari della pelle e questo impedisce ai bambini di ingerire i cibi più comuni come la pizza, la crosta del pane, o qualsiasi alimento duro. «Anche in questo caso – racconta Cinzia -, Luca impiega circa due ore solo per pranzare. Eppure non permetto mai che salti il momento del pranzo a scuola, con gli amici, la socializzazione è un fatto importante anche se l’impatto psicologico e sociale che la malattia può avere su un bambino o sulla sua famiglia è spesso trascurato. Io mi curo di questo aspetto ma siamo in pochi, qualcuno prova vergogna ed il rischio è i che ragazzi si trovino a vivere il resto della propria esistenza relegati in casa. Per questa malattia, infatti, non esiste una cura, dura tutta la vita, una vita fatta di privazioni e difficoltà quotidiane come il semplice scrivere o mangiare, una vita condotta spesso in carrozzina». Lo sconforto cresce nei casi più gravi di EB distrofica, caratterizzati da un’aspettativa di vita molto bassa. «Il tasso di mortalità infantile è alto, difficilmente si superano i 30 anni e si ha una possibilità molto aumentata di sviluppare il cancro della pelle. Anche in questo caso non c’è una cura diversa dall’amputazione di arti, gambe, braccia o mani o si deve affrontare un’elettrochemiaterapia».

Da presidente di Debra e volontaria dell’associazione da quattro anni, Cinzia Pilo ha un sogno, quello di dare voce a tutti i bambini e i ragazzi Farfalla. «Sono persone molto intelligenti che, proprio perché hanno problemi fisici, sviluppano maggiormente le proprie capacità intellettuali. Purtroppo, però, in pochi riescono ad accedere agli studi universitari. L’EB grava molto sull’economia delle famiglie, solo per acquistare le medicazioni, ogni famiglia deve spendere 50mila euro all’anno». Cinzia vorrebbe intervistare tutti i ragazzi Farfalla che hanno più di 14 anni o, se più piccoli, uno dei loro genitori. «Una ricerca del genere – spiega – non è mai stata eseguita nel mondo. Voglio che rispondano apertamente ad alcune domande, che dicano qual è l’impatto che la malattia ha nella loro vita quotidiana, come affrontano il dolore fisico e psicologico, le loro paure. Voglio che raccontino come si immaginano a trent’anni, come vedono il loro futuro oltre la malattia e oltre i pregiudizi».

di Nadia Cozzolino

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