testa coverROMA – Nei libri in cui viene menzionato il mare nel titolo c’è sempre qualcosa di sommerso, un significato latente che torna a galla fra le onde di ogni pagina, che affonda il lettore per poi riportarlo a riva. Accade, per esempio, ne “Il mare non bagna Napoli” di Anna Maria Ortese, raccolta di novelle assai diversa dal libro di cui si scrive qui, ma simile per l’intensità della scrittura, per il viaggio struggente che di racconto in racconto mostra il volto di una realtà pietosa, a dir poco tremenda. E accade, appunto, in “Da questa parte del mare” (Einaudi) di Gianmaria Testa – cantautore prematuramente scomparso il 30 Marzo a causa di un cancro – pubblicato postumo, a dieci anni di distanza dal disco omonimo.

FRAMMENTI DI VITA – “Da questa parte del mare” è una piccola, ma significativa traversata fra le migrazioni umane, contemporanee, dolorosamente attuali nel loro incessante ritmo di morte, speranza, addio. Una traversata fatta non solo di storie, ma anche di canzoni dal sapore placido, affascinanti nella loro leggerezza che di drammatico non ha niente eppure, colpiscono e si attaccano al corpo, come un leitmotiv incessante, dall’indiscutibile purezza malinconica.  Gianmaria Testa racconta frammenti del suo passato, incontri con migranti, minoranze che in un modo o nell’altro gli hanno cambiato la vita, l’hanno ispirato. In cento pagine si ripercorre un cammino mosso dalla disperazione, quella «di chi non ha più niente da perdere». Ne è un esempio Babasunde Nkemdilin, venditore di tappeti venuto dall’Africa che tutti chiamano Abdul, o addirittura Abdel. Babasunde ha perso il suo nome, la sua identità, «il primo elemento ufficiale e privato che contraddistingue la vita di ognuno e ci rende unici e riconoscibili fra gli altri». Testa riflette sullo sguardo povero e impaurito nei confronti del fenomeno delle migrazioni: quello che ha offuscato la mente di chi ha dimenticato che fino a poche generazioni or sono, anche i nostri partivano per approdare negli stessi ambienti duri, inospitali. Corsi e ricorsi storici che non hanno lasciato niente, se non l’indifferenza, l’oblio: «perché un nome è perduto per sempre, se nessuno lo chiama». Perché un nome può essere non conosciuto, ma ciò non significa che un volto non rimanga impresso nella memoria: Tino, sbarcato a Lampedusa, ricorderà una sola cosa del calvario in mare dall’Africa all’isola siciliana. Ricorderà gli occhi di una donna che gli hanno trasmesso pazienza, pace, serenità nel gelo di un peschereccio perso in mezzo alle acque, e «la sua mano fredda e tremante mentre» oramai salvi l’aiutava «a scendere a riva».

UN LIBRO-SPECCHIO – Un pensiero rivolto all’altro, quello di Gianmaria Testa, ma anche alla sua storia personale: l’infanzia in un piccolo paese dall’indirizzo difficilmente localizzabile; la moglie Paola e una madre «la cui porta di casa è costantemente aperta»; gli anni passati nelle ferrovie dello Stato, lavoro abbandonato per dedicarsi alla più grande delle sue passioni, la musica. Un libro-specchio, in definitiva, che racconta l’autore e le sue vicissitudini, gli incontri fatti, le opinioni sull’amore, sulla bellezza, come sono nate le canzoni divenute famose in Francia prima e in Italia poi. Poesie in forma di nota, avvolgenti come una chiave di sol: Cielo di stelle, cielo color del mare / tu sei lo stesso cielo del mio casolare / portami in sogno verso la patria mia / portale un cuor che muore di nostalgia /

di Francesca Coppola