Nocera Inferiore, intitolazione Biblioteca diocesana a Giovanni Paolo I

È in programma domani, 13 maggio, l’intitolazione della Biblioteca diocesana di Nocera Inferiore- Sarno al beato Giovanni Paolo I. L’appuntamento è alle 10.00 presso il Palazzo della Curia vescovile di Nocera Inferiore.

La Biblioteca diocesana “Giovanni Paolo I” raggrupperà le sezioni già dedicate a monsignor Gaetano Ficuciello e al servo di Dio Igino Giordani. All’incontro interverrà Stefania Falasca, postulatrice della Causa di Canonizzazione di papa Albino Luciani. Ad introdurre i lavori sarà Giuseppe Palmisciano, direttore dell’Archivio e della Biblioteca diocesana, mentre il vescovo monsignor Giuseppe Giudice detterà le conclusioni della mattinata.

La conferenza che seguirà all’intitolazione della Biblioteca diocesana partirà dall’edizione critica a cura di Falasca, con la prefazione del cardinale Josè Tolentino de Mendonça, del volume Illustrissimi. Si tratta di una silloge di quaranta lettere immaginarie che Luciani, poi diventato Giovanni Paolo I, destinò a un caleidoscopio di personaggi storici e biblici, ignoti pittori, santi e persino un orso, autori reali di epoche e letterature diverse, personaggi del mito classico o fittizi. L’intitolazione si inserisce nell’ambito della rassegna Maggio della Cultura. Giunta alla quarta edizione, l’iniziativa è promossa dalla Diocesi di Nocera Inferiore-Sarno attraverso il Mensile Insieme, il Museo San Prisco, l’Ufficio Beni Culturali e Edilizia di culto, l’Archivio e la Biblioteca diocesana. Gli eventi sono stati aperti dalla mostra Jubileum25. Il prossimo appuntamento è in programma sempre nel Palazzo della Curia venerdì 16 maggio, alle 19.00, con la presentazione del libro di Maria Rita Cerimele, “Diana Pezza Borrelli. Come un uragano”.

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“NON C’È 3 SENZA 2” RACCONTA LA MATERNITÀ IN MODO INEDITO

Arriva su Amazon Prime Video “(Non) c’è 3 senza 2”, un cortometraggio a capitoli che racconta un tema ancora poco esplorato dal cinema italiano, la ricerca della maternità, tra intimità, ostacoli e tabù. “(Non) c’è 3 senza 2” è scritto e diretto da Antonio Esposito, che ne è anche interprete insieme a Sara Saccone.

Il film esplora con delicatezza una quotidianità spesso nascosta, fatta di tentativi, visite mediche, attese silenziose e speranze disattese. Alternando situazioni surreali a momenti di autentica profondità emotiva, offre una prospettiva realistica sulle sfide affrontate da molte coppie nel percorso verso la genitorialità. Senza scadere in drammatizzazioni eccessive, mostrando le difficoltà che spesso vengono affrontate con segretezza o stigma sociale, rompendo così il tabù intorno alla fertilità, la narrazione procede con un equilibrio sottile tra malinconia leggera e ironia intelligente, capace di coinvolgere e sensibilizzare lo spettatore.

“(Non) c’è 3 senza 2” è un lavoro autoprodotto da Gli Scusateci, che non ha avuto accesso a finanziamenti pubblici o privati. Il progetto ha conquistato svariati riconoscimenti in Italia ed all’estero, tra i quali il Silver Award for Best Web Series ai New York Movie Awards, premio che ne ha consolidato credibilità artistica e aperto nuove opportunità di distribuzione. Il suo approdo su Prime Video è il segnale che anche un cinema indipendente, costruito con cura, come nella scelta di farsi affiancare da una psicoterapeuta sistemica relazionale nella scrittura, può incontrare un pubblico più ampio. Ed è un’occasione per aprire una riflessione collettiva su una realtà che riguarda tante coppie, ancora troppo spesso lasciate sole.

LA STORIA –  Il cortometraggio segue le vicende di Gaetano e Sandra, una coppia che desidera avere un figlio ma si confronta con le sfide legate alla fertilità. Attraverso situazioni quotidiane e incontri con personaggi singolari, il film affronta con ironia e sensibilità le difficoltà emotive e sociali legate alla ricerca di una gravidanza.

Gli Scusateci sono un gruppo di film-maker napoletani, nati in teatro alla fine degli anni ’90, approdati sul web nel 2014. Lo stile dei loro lavori prende spunto dal cinema, dal teatro e dal web attraverso un linguaggio ironico, leggero e partenopeo. I loro video hanno totalizzato più di due milioni di visualizzazioni su Facebook, YouTube e TikTok.

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“Terra mia”, il festival cinematografico per le scuole che rende omaggio a Pino Daniele

Si chiama “Terra mia” il concorso sul linguaggio cinematografico e audiovisivo con cui l’I.S.I.S. Elena di Savoia di Napoli ha chiamato a raccolta gli studenti della regione con l’obiettivo di sensibilizzare le giovani generazioni sul legame tra i luoghi della Campania e i suoi abitanti.

Un concorso sulla produzione di un video partendo dal titolo della canzone di Pino Daniele, alunno dell’Istituto Diaz, oggi succursale dell’ Elena di Savoia, in cui i ragazzi possono raccontare i propri territori e il legame che li unisce alla propria terra.

«Il progetto- spiega Daniela Oliviero, dirigente scolastico dell’ I.S.I.S. Elena di Savoia- è un’iniziativa di formazione e diffusione cinematografica realizzata nell’ambito del progetto “Il linguaggio cinematografico e audiovisivo come oggetto e strumento di educazione e formazione” voluto dal MIM e dal Ministero della cultura. La nostra scuola è stata una delle poche a ricevere il finanziamento. Il progetto ha un duplice scopo: conoscere la teoria e mettere in pratica le fasi di una produzione cinematografica (scrittura, produzione, montaggio) volte alla realizzazione di un cortometraggio e organizzare un concorso cinematografico».

Educazione alla legalità e ambientale, paesaggi e bellezze della regione, valorizzazione del turismo,  storie e/o leggende legate a Napoli o ad altri comuni campani e legame tra cittadini e ambiente sono tra i temi del bando su cui gli studenti sono stati invitati a ragionare e lavorare per la creazione del video finale.

La selezione degli elaborati è avvenuta attraverso visioni collettive e critiche da parte dei partecipanti. Il concorso è stato organizzato dagli allievi partendo dalla stesura del bando, lo sviluppo di un’idea creativa sulla comunicazione e sulle grafiche del concorso e la creazione di un catalogo di premi da consegnare.

La prima edizione del festival cinematografico si concluderà mercoledì 14 maggio, dalle ore 10, al Cinema Materdei in via Fontanelle a Napoli, con la proiezione dei prodotti finalisti realizzati dalle scuole partecipanti e la partecipazione, tra gli altri, di Antonella Di Nocera- ufficio terzo USR Campania e Roberta Gaeta – consigliera regionale e il Maestro Valerio Virzo.

Durante la giornata verranno premiati i migliori elaborati, uno per ciascuna categoria – cortometraggio, documentario, videoclip e spot – per ogni ordine e grado di scuola. Ai primi classificati verrà consegnata una targa ricordo, mentre a  tutti i candidati sarà consegnato un attestato di partecipazione.

«Il titolo del progetto – prosegue Daniela Oliviero- è un omaggio alla figura di Pino Daniele che fu allievo della nostra sede succursale, plesso “Armando Diaz”, che si trova a via dei Tribunali, 370. Nell’istituto è presente anche un’aula a lui dedicata dove è stato realizzato un murales che lo raffigura. Questo legame con il nero a metà è stato uno spunto da cui si è partiti per ideare e sviluppare il cortometraggio realizzato dai nostri allievi. Sono state ascoltate le canzoni di Pino Daniele, legandole ai temi del bando, sviluppando le idee creative che sono diventate film. Il ricordo di Pino Daniele, artista conosciuto a livello mondiale, è ancora fortemente presente nel quartiere dove lavora la nostra scuola, dove il cantante viveva e trascorse la giovinezza, dove mosse i primi passi come musicista. Tra l’altro conserviamo ancora nei nostri archivi la pergamena del suo diploma di maturità, che Pino non ha mai ritirato».

 

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“Piantalo!”, l’evento che celebra il San Marzano dop

Il 13 maggio 2025 torna a Sarno l’evento “PIANTALO!”, promosso da Gustarosso – DANIcoop, dedicato a celebrare uno dei momenti più simbolici e delicati del ciclo agricolo del Pomodoro San Marzano DOP: il trapianto delle giovani piante di pomodoro nel terreno.
Durante questa giornata, le piantine, che nei mesi estivi daranno frutti raccolti a mano dagli agricoltori, vengono messe a dimora, segnando un passaggio fondamentale nella crescita del prodotto.

L’evento si svolgerà dalle 9:30 alle 13:30 presso gli “Orti della Musica”, un parco che unisce paesaggio agricolo e vocazione culturale, creando un ambiente armonico tra natura e cultura.
Un’occasione speciale per coinvolgere cittadini, operatori, appassionati, studenti e rappresentanti del territorio in una mattinata dedicata all’identità agricola della Valle del Sarno.

“PIANTALO!” si inserisce in un più ampio percorso di valorizzazione della cultura agricola dell’Agro Sarnese-Nocerino, promosso da Gustarosso, un brand riconosciuto a livello internazionale per la tutela e la diffusione del vero pomodoro San Marzano DOP.
Da decenni, Gustarosso lavora con passione per preservare la qualità, la dignità e il valore degli agricoltori e del prodotto, oggi protetto e riconosciuto anche a livello europeo.

Durante la mattinata, ci saranno laboratori, tavole rotonde e degustazioni: più che un semplice evento agricolo, si tratta di una vera e propria dichiarazione d’intenti, un’esperienza culturale e partecipativa.
Un momento che affonda le sue radici nella tradizione contadina del territorio, ma che guarda anche alla valorizzazione sostenibile della filiera agroalimentare, unendo generazioni, mestieri e saperi diversi.

di Annatina Franzese

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“BELLA STORIA. La tua”. Percorso di crescita dedicato a 50 giovani provenienti dalla Calabria e dalla Campania

Si chiama “Bella Storia. La Tua” il bando che accompagna 50 giovani provenienti da Calabria e Campania in un percorso di crescita personale, formazione e orientamento al futuro, promosso da Fondazione Unipolis (Fondazione d’impresa del Gruppo Unipol).

La BPER è Partner Tecnico del progetto e ha scelto di sostenere questa iniziativa perché ne condivide i valori profondi, nella convinzione che il contrasto alle disuguaglianze educative, la promozione dell’equità e il sostegno al talento giovanile siano elementi fondamentali per costruire una società più giusta e inclusiva. L’impegno nel sociale si esprime, dunque, offrendo strumenti e opportunità concrete a chi ha meno possibilità di accesso, ma grandi potenzialità da esprimere.

Il progetto ha lo scopo di unire sostegno economico, formazione e sviluppo di competenze trasversali. Un’occasione per rafforzare la fiducia dei partecipanti nelle proprie capacità e aiutarli a costruire percorsi di vita e di studio più consapevoli e autonomi.

Il progetto prevede un accompagnamento lungo tre anni, con il supporto di mentor, formatori e professionisti. Ogni partecipante riceverà un contributo economico fino a 4.500 euro, per coprire spese legate a istruzione, materiali didattici e attività culturali o sportive, con l’obiettivo di favorire l’autonomia nelle scelte educative e nella gestione delle risorse.

La scadenza per partecipare al bando è il 28 maggio 2025.

Qui il link (Bella Storia. La tua) del progetto

 

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Antisionismo e antisemitismo, quando la guerra si fa (anche) con le parole. Come non cadere nel tranello L’INTERVISTA

L’argomento è spinoso, la strada da imboccare per fare chiarezza è scivolosa e piena di insidie e la (non) comunicazione sui social molto spesso crea ancora più caos. La guerra talvolta parte dalle parole, dal cattivo uso che se ne fa, dalla mancanza di conoscenza dei termini che si utilizzano. Sionista, antisionista, antisemita, ebreo, islamico, palestinese. Quante volte al giorno ascoltiamo o leggiamo queste parole, e quanto le comprendiamo per davvero?
Il conflitto israelo-palestinese in questi mesi sta sconvolgendo nuovamente il Medio Oriente. Notizie drammatiche si susseguono e, inevitabilmente, gli effetti si fanno sentire anche sul web attraverso i social che fanno da cassa di risonanza alle opinioni più disparate, anche da un punto di vista “locale”. Proprio in questi giorni una piccola guerra si è scatenata, tra i leoni da tastiera e non solo, in seguito alla polemica suscitata dalla presa di posizione di una ristoratrice di Santa Chiara a Napoli che ha messo alla porta una comitiva di israeliani che avrebbe esaltato le azioni di forza del governo Netanyahhu nella striscia di Gaza.
Andare a smembrare tutte le componenti della marmellata del linguaggio quando viene infettato da mancanza di conoscenza, violenza e tuttologia è complicato visto che molto spesso la guerra – quella via social – viene combattuta senza conoscere le proprie armi, appunto le parole, il significato dei termini utilizzati per sostenere le proprie ragioni, creando sempre più confusione e gettando benzina sul fuoco della polemica.

A provare a fare chiarezza arriva in aiuto il professore di Sociologia del Mondo Arabo dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, Antonello Petrillo.

Innanzitutto, professore, qual è il significato della parola sionismo?

«Il sionismo è un movimento politico religioso nato nel XIX secolo che mirava a costituire in Palestina uno stato israeliano per accogliere gli ebrei dispersi nel mondo. Nasce con il risollevarsi dei nazionalismi nel mondo e al rigurgito dell’antisemitismo. Ma l’essere ebrei non coincide certo con l’essere sionisti».

Tornando alla vicenda dalla quale prendiamo spunto, è venuta fuori la parola “sionista”. Vogliamo chiarire? Chi è oggi un sionista?

«Non c’è alcuna offesa in sé nel termine “sionista”. L’errore a monte è che spesso l’antisionismo viene confuso con l’antisemitismo. Un ebreo non si sente offeso se viene chiamato sionista, magari non lo è ma non è questo il punto. Ad esempio, è un po’ come se dicessimo di qualcuno che è leghista e invece non lo è ma è appartenente a un altro partito politico. Il sionismo è un movimento che ha fondato lo Stato di Israele, ma che non coincide con l’essere ebreo. In definitiva essere ebrei ed essere sionisti non è assolutamente la stessa cosa».

A cosa è dovuta la confusione sul significato di questi termini?

«Innanzitutto perché fa comodo a Israele. Dire che se sei contro di me, contro i massacri di Gaza, contro il genocidio, contro la pulizia etnica sei automaticamente contro gli ebrei e quindi antisemita, fa comodo. Palesemente le due cose non coincidono. Infatti i nazisti erano antisemiti ma non antisionisti. E oggi molti dei governi che appoggiano Israele, compreso il nostro, sono filo-sionisti, ma non sono necessariamente immuni dall’antisemitismo».

Con la stessa chiarezza possiamo spiegare la differenza tra l’essere ebreo e l’essere israeliano?

«Essere ebreo è identificarsi con una cultura religiosa, non è essere etnicamente qualcosa di preciso perchè geneticamente non esiste l’ebreo. Gli ebrei nel corso del tempo si sono mescolati con tantissime altre popolazioni. Purtroppo l’ala radicale del sionismo contemporaneo rivendica, invece, una sorta di appartenenza etnico-razziale che non esiste. L’autoidentificazione si sviluppa soprattutto a seguito delle persecuzioni, cresce sicuramente quando papa Paolo IV nel 1555 istituisce i ghetti affermando che gli ebrei sono una razza a parte, il popolo che ha ucciso Cristo. Ovviamente, vivendo nei ghetti, essendo impossibilitati a uscire, a sposarsi con altre persone, gli ebrei hanno incorporato questa idea. Un po’ come, parafrasando e semplificando, il popolo rom, che geneticamente non esiste. Però un rom sente di far parte di quella particolare cultura. I nazisti, al tempo, andavano a chiedere ai rabbini chi fosse considerato ebreo e la risposta fu che erano da considerarsi ebrei tutti quelli che erano figli di madre ebrea. Un parametro che ha paradossalmente aiutato il Nazismo nella sua follia sterminatrice. Un paradosso tragico che si verifica ogni volta che una popolazione viene inferiorizzata. A un certo punto capita che ci si senta davvero ciò che gli avversari pensano di te, ti senti appartenente ad una razza. Ma gli ebrei non sono una razza, sono una cultura religiosa».

Ed essere israeliano, invece?

«Dentro Israele le razze esistono. Palestinesi a parte, gli ebrei orientali, i Mizrahim, che vivevano da sempre in Medio Oriente, sono stati oggetto di pesanti discriminazioni da parte dei “nuovi arrivati” europei, di cultura “europea”, gli askenaziti, insieme ai loro fratelli di pelle scura provenienti dall’Etiopia, i Falascia. Fino a tempi assai recenti nessuno di loro ha avuto accesso, per esempio, a cariche di governo. Un razzismo aperto tra ebreo ed ebreo dentro Israele, alla base anche della terribile crisi politica che il paese vive oggi».

Come si passa dalla posizione antisemita delle destre europee all’ammirazione dei governi di destra per Israele?

«Da quando le destre hanno ricominciato a prendere piede in Europa e in tutto l’Occidente ha fatto comodo nascondere l’antisemitismo, fatto di stereotipi che vedevano l’ebreo avaro, uccisore di Cristo eccetera, eccetera, mentre cresceva l’ammirazione per Israele, autentico modello per tutti coloro che auspicano politiche dure verso ciò che è diverso da noi e che avvertiamo come una minaccia (i migranti per esempio). Nel 2016 è arrivata la dichiarazione dell’IHRA (International Holocaust Remembrance Alliance, un’organizzazione intergovernativa) sull’antisemitismo, che fa sostanzialmente coincidere antisemitismo e critica al sionismo e allo stato di Israele».

Ma non è l’unica definizione di antisemitismo.

«Nel 2021 a Gerusalemme, duecento studiosi, in gran parte ebrei, si riunirono per rilasciare la Dichiarazione di Gerusalemme, nella quale si afferma che l’antisemitismo non coincide con l’avversione alle politiche di Israele, ma è un riproporre quegli antichi stereotipi legati agli ebrei. In definitiva non è che tutto il mondo ebraico, fuori e dentro Israele, sia concorde con le politiche del governo».

Ma cosa significa essere semiti?

«Essere semiti significa appartenere a una determinata popolazione che nasce in Medio Oriente. Semiti sono anche gli arabi, quindi attribuire l’antisemitismo al palestinese o a un siriano o a un libanese, è una cosa assurda. Quando leggiamo che un palestinese è antisemita perché è contro lo Stato di Israele è assurdo, perchè il palestinese è un semita. La stessa lingua araba è semita, esattamente come l’ebraico. Si fa una confusione enorme. Anche l’”islamofobia”, il nostro fastidio per i musulmani che vengono in Europa per sfuggire a fame e guerre, è – a rigore – una forma di antisemitismo. Gli ebrei che sono in Italia sono persone in genere integrate, spesso benestanti, sono come noi. Ma quelli che arrivano dal Maghreb o dalla Siria, poveri, somaticamente diversi da noi, ci fanno paura. L’islamofobia è un volto dell’antisemitismo perchè se la prende con un’etnia semita. Quindi far coincidere antisemitismo e antisionismo è una cosa sbagliatissima. Sull’antisionismo c’è un errore di fondo fatto quando l’Unione europea ha recepito la dichiarazione di Stoccolma dell’IHRA invitando i governi degli stati membri ad adottare leggi sulla base di tale dichiarazione. In pratica se io critico lo Stato di Israele sono antisemita per legge. Questo anche in Italia, anche se l’applicazione da noi è più blanda rispetto a paesi come la Germania o il Regno Unito».

di Nadia Labriola

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